Si è conclusa nel migliore dei modi la disavventura dei minatori cileni, intrappolati a più di 600 metri nel sottosuolo da circa due mesi, dati per spacciati in un primo momento per poi vedere la loro situazione evolversi positivamente fino al gioioso epilogo della liberazione.
Come tutti i media, abbiamo seguito da vicino le prime due fasi della vicenda e oggi siamo qui a compiacerci di quanto fatto dalle autorità cilene con la collaborazione esterna di altri paesi che hanno contribuito nel fornire i materiali per il salvataggio. Questa disgrazia sventata apre un nuovo capitolo sui salvataggi di esseri umani a grosse profondità, e mette in luce la tenacia e l’arguzia di chi era intrappolato nelle viscere della terra.
Sono “emerse” con i minatori anche alcune delle vicende vissute dagli stessi per tutto questo periodo sotto terra, anche se si erano ripromessi con un patto solenne di non farne parola alcuna. Pare che si fossero create 3 fazioni e che in un primo momento (quando tutti li davano per spacciati) si fosse arrivati anche allo scontro fisico. Per merito, Luis Urzua, il «capitano» dei 33, la situazione si è risolta democraticamente con le decisioni prese per votazione e a maggioranza.
Un esempio è come è stata decisa la gestione del cibo, nello specifico il tonno, che è stato suddiviso nella quantità di un tappo di bottiglia al giorno. La vicenda a parere di molti studiosi è una vittoria dell’uomo sulla morte, è la dimostrazione di come uniti si possono superare le difficoltà più ardue; è l’attaccamento alla vita che ha fatto la differenza in quel tunnel. Attualmente i minatori sono in ospedale per le visite mediche, dove con l’aiuto di medici e con l’affetto dei parenti torneranno al più presto in forze. Il presidente, Sebastián Pinera, conclusasi l’operazione di salvataggio denominata San Lorenzo, ha fatto chiudere definitivamente quel pozzo.
Fabrizio Pace
