Riforma universitaria 2010: a rischio qualità e offerta formativa

“Contro i mali dell’università, identificati negli sprechi delle autonomie e nei poteri delle baronie”, il Ministro Gelmini ha pensato bene di presentare un DDL di riforma per risolvere la situazione, lo sappiamo bene. Il mese di ottobre appena trascorso è stato il più critico del 2010, un mese “nero” per quanto riguarda gli scioperi, le manifestazioni in piazza, le mobilitazioni, non solo degli studenti, ma anche degli operai, dei precari, dei cassaintegrati. Sta nascendo, sembra, un forte movimento trascinato da un unico slogan: Uniti contro la crisi. La redazione di un significativo documento, in seguito alla protesta alla Sapienza di Roma, accentua ancora di più la criticità della situazione attuale: «Disinvestimento, privatizzazione e distruzione della qualità del sapere sono stati assunti strategicamente dal governo, che ha suggellato decenni di riforme su scuola e università – così si legge nel documento – Povertà, disoccupazione e precarietà sono le condizioni cui un’intera generazione di soggetti produttivi viene sottoposta». Caos nelle università, qualità che va scemando, incertezza non più solo nel futuro, ma anche nel presente. L’approvazione alla Camera del DDL  di riforma è slittata per mancanza di copertura finanziaria. Il presidente Gianfranco Fini aveva ammonito: «Se non si impegnano fondi per promuovere la meritocrazia, si tradisce lo spirito della riforma e quindi sarebbe meglio ritirarla. I tagli sono insopportabili». La Gelmini, dal canto suo, aveva affermato: «Bisogna avere il coraggio di cambiare, di guardare ad una università moderna. Non serve ripetere vecchi slogan. Le ideologie devono essere lasciate fuori, l’unico interesse deve essere quello dei ragazzi e del loro futuro. Il nuovo DDL elimina sprechi e privilegi, rivede la governante degli atenei, punta sul merito e apre le porte ai giovani». E visto che sono i giovani a protestare, vediamo un po’ a grandi linee di cosa stiamo parlando, quali sono i cambiamenti così tanto contestati. La nuova riforma prevede due cicli formativi: la laurea di primo  livello(ex triennale) e la laurea magistrale che dura due anni e riguarda anche la formazione post laurea: i master universitari di primo e secondo livello della durata di un anno e il dottorato di ricerca della durata di tre anni. Ma le novità principali più contestate sono i tagli previsti per ogni ateneo, che porteranno a una drastica riduzione dei fondi a disposizione. Prima di tutto, decreta la fine dell’istituto della borsa di studio, con un taglio ai finanziamenti del 90%, che sottolinea come il fragile welfare studentesco italiano stia franando e contribuisca ad acuire la distanza tra università del Sud e del Nord. E’ sempre più numerosa, infatti, la compagine di ventenni meridionali che emigrano in terra padana alla ricerca di facoltà dalla borsa di studio possibile come Piemonte, Toscana, Emilia.

Prevista poi la fusione, piuttosto che la federazione, di atenei diversi come strumento per favorire una riprogrammazione dell’offerta formativa. In pratica, la chiusura di alcuni degli 88 atenei italiani. Non ci sarebbero neanche i soldi per l’assunzione in ruolo di 9 mila ricercatori nei prossimi 5 anni e, per ovviare ai tagli e pagare le supplenze, le facoltà sono costrette ad assumere con contratti simbolici di un euro. Assunzioni a costo zero, con contratti a progetto, di professionisti esterni alle facoltà stesse. Cioè, stringendo i denti e insegnando gratis solo per ottenere titoli e”fare punteggio”. Ci sarà quindi un motivo se l’Italia resta il paese con il tasso di abbandono universitario più alto! La maggioranza ha perciò riconosciuto che senza soldi la riforma non si fa. Il Ministero dell’Economia ha confermato che soldi non ce ne sono. Tutto sembrerebbe perduto, ma non è così. Questa raccontata finora è, a quanto pare, storia già vecchia, solo un brutto ricordo. Da mercoledì sera, infatti, ci sono delle importanti novità. Il testo di un maxi-emendamento alla legge di stabilità è arrivato alla Commissione Bilancio della Camera, un pacchetto sviluppo in formato ridotto. Circa 5,5 miliardi di euro contro i 7 giudicati necessari dal Ministero dell’Economia per coprire le esigenze minime relative a lavoro, sanità, missioni di pace all’estero e, dulcis in fundo, proprio l’università. Al fondo universitario andranno 800 milioni, altri 100 saranno destinati alle borse di studio e altrettanti alla ricerca con il sistema dei voucher (per le imprese che affidano incarichi a università italiane ). Ma da dove arriveranno i soldi? Pare dall’asta delle frequenze digitali, dal fondo anti- crisi presso la presidenza del Consiglio (fondo Letta), dal settore dei giochi, e da altre misure fiscali come il settore del leasing immobiliare.  Situazione critica ma forse superabile. Impegni concreti o vane promesse e false aspettative? Il Paese ha bisogno di certezze e le chiede ai suoi rappresentanti al Governo, ancora una volta. Forse non tutto è perduto.

M.Cristina Scullino

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