Deficit pubblico

L’intento di questa rubrica è proprio quello di tranquillizzare i lettori, cercando di rendere semplici quei concetti economici di cui si sente parlare spesso, ma che non vengono illustrati dai mass – media con la dovuta chiarezza. Parliamo, dunque, del Deficit pubblico. (Il termine Deficit deriva dal verbo latino deficere, ossia mancare ). Per inquadrare con chiarezza il concetto, riteniamo utile considerare lo Stato come un qualsiasi imprenditore che abbia l’obbligo della tenuta della propria contabilità: l’attività economica di ogni azienda, infatti, prevede entrate ed uscite. Così è per lo Stato. Il Deficit pubblico, pertanto, si definisce come la differenza negativa delle uscite finanziarie sulle entrate finanziarie dello Stato, misurate in un anno finanziario che, di regola, coincide con l’anno solare. Se, dunque, nel corso del 2009, in Italia, le spese correnti hanno superato le entrate correnti, vorrà dire che si è avuto un deficit di bilancio, misurato, appunto, da quella differenza. Le entrate finanziarie dello Stato sono rappresentate, essenzialmente, dal prelievo fiscale, e sono costituite da tasse, imposte e contributi. Le uscite finanziarie dello Stato possono suddividersi, essenzialmente, in: trasferimenti a favore delle amministrazioni locali (Regioni, Provincie e Comuni); pagamento di stipendi ai dipendenti pubblici e di pensioni; pagamento di interessi sul debito pubblico. Alla luce delle disposizioni del Trattato di Maastricht, e tenendo conto dei criteri per la stabilità dell’Euro, oggi l’ammontare del Deficit pubblico viene misurato in rapporto al Prodotto Interno Lordo, ossia in rapporto all’ammontare complessivo della ricchezza prodotta all’interno di un paese; e questo rapporto non deve superare il 3%. Perché si ha un Deficit? Nell’attività finanziaria di uno Stato possono verificarsi, essenzialmente, due situazioni. Una prima situazione potrebbe essere un eccesso di spesa a fronte di un determinato livello di entrate. Questa potrebbe anche essere una situazione positiva, se si tratta di una spesa che possa generare, in futuro, nuova ricchezza. Questa è la situazione che propugnava il grande economista inglese J. M. Keynes. Una seconda situazione potrebbe fare riferimento ad un insufficiente prelievo fiscale. Al riguardo, è utile tenere conto di un semplice indicatore statistico – economico, vale a dire l’ammontare della pressione fiscale : la pressione fiscale è pari al rapporto fra le entrate fiscali complessive dello Stato ed il Prodotto Interno Lordo. Nel 2009, in Italia, il valore della pressione fiscale è stato del 43,2 %.

Prof. Giuseppe Cantarella

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