Fare un figlio a 50 anni ed oltre!!! E’ giusto?

05\11\2012 – Ci si chiede spesso cosa sia giusto e cosa no…e se non tramite giudizi estremamente personali non si possono dare delle risposte! Il giusto etico infatti a volte non corrisponde con quello emotivo, giuridico o semplicemente del buon senso! Provo allora a metter da parte questo interrogativo ( cosa è giusto? Cosa è normale?) soffermandomi più che sul diventare genitore a 50 anni ed oltre, sull’ essere figlio di genitori ultracinquantenni. L’ orologio biologico non sembra più un limite, grazie agli ormai conosciuti, e sempre più largamente utilizzati, aggiustamenti nel suo battere il tempo chiamati “progressi” (se cosi si possono chiamare) scientifici. Procreazioni medicalmente assistite, uteri in affitto, ovociti e spermatozoi congelati, sebbene permettano di”scegliere” come e quando fare un figlio, inevitabilmente incidono sulle basi biologiche dell’identità dei bambini ed assumono rilievo nelle rappresentazioni simboliche del nascere, dell’essere figli e del diventare genitori. Mi chiedo allora: esiste un orologio psicologico per diventare genitori? Si è sempre in grado, a qualsiasi età e in qualsiasi condizione, di rispondere ai bisogni dei figli? Amore incondizionato, rispetto per la personalità del bambino, stabilità e sostegno alla crescita sono le parole che meglio sintetizzano i bisogni primari di un bambino che necessita di un sano equilibrio per non vivere, da una lato, l’ ansia e la paura dell’ abbandono nè, al versante opposto, la privazione della libertà di essere, più che di fare, tipico dell’ iperprotezione.. “I bambini hanno bisogno di figure di riferimento che siano capaci di far acquisire loro competenze sociali come cooperare, fare amicizia, gestire in maniera accettabile i conflitti”. Ed ancora hanno bisogno soprattutto di giocare. “Il gioco è l’atteggiamento con cui fin dai primi mesi di vita ci si accosta al mondo ed è un’esperienza che produce piacere, benessere e che consente di sentirsi liberi.” Rispondere a questi bisogni non è una prerogativa di un genitore giovane, ma di un genitore affettivamente ed emotivamente maturo, autocentrato e pertanto capace di mentalizzare ed accogliere l’ altro nei suoi bisogni più intimi e profondi. I figli però oltre ad avere dei bisogni hanno anche dei diritti: di espressione, di appartenenza, di partecipazione, di comprensione. Cosa succede allora quando dai circa 10-11 anni, nella fase risaputamene più critica dello sviluppo individuale, un ragazzo si trova ad avere un genitore di circa 70 anni?  Come gestisce e cosa prova un genitore anziano, che ha inevitabilmente delle risorse psicologiche diverse da uno più giovane, nella fase pre ed adolescenziale caratterizzata da conflitti, da continue insoddisfazioni, da muri di silenzi e dimostrazioni di irrequietezza, da richieste complesse quali, ad esempio, il desiderio di avere un motorino, di fare la vacanza con gli amici, di andare in discoteca, di non avere orari da rispettare? Qualsiasi genitore, a prescindere dall’ età, vive contemporaneamente, durante l’ adolescenza, il periodo più critico della propria genitorialità ed è inevitabile che, tale criticità, aumenti quando tra genitori e figli vi sono delle distanze e differenze generazionali cosi importanti e significative come 50 anni di vita. Non possiamo negare che il naturale evolversi delle cose porti, in un particolare arco di vita degli esseri umani, ad “invertire i ruoli”cosi da chiedere ai figli di passare dall’ esser curati al prendersi cura rivestendo un ruolo di accadimento nei confronti dei propri genitori. Un ragazzino a 15 anni, quando ha ancora bisogno delle proprie figure di riferimento per crescere, che debba affrontare eventi critici legati alla malattia e alla vecchiaia, sperimenta e vive sentimenti di solitudine e di abbandono, e la paura e l’ angoscia della perdita prendono il sopravvento, soprattutto quando non si può condividere questa esperienza con dei fratelli o con almeno uno dei due genitori più giovane. Non è l’ età in sé, in cui si decide di diventare genitori, che mi lascia perplessa, ma la possibilità che dietro la stessa vi sia forse un bisogno di riempire dei vuoti o un modo per fermare il tempo del proprio “invecchiamento”. I figli andrebbero messi al mondo, oltre ovviamente che per amore, per una scelta autentica e responsabile di donare la vita ad un essere che sebbene in sé, è altro da sé, e non come un mezzo per realizzare se stessi o solo dopo aver, egoisticamente, realizzato i propri sogni.

Dott.ssa Antonia Sergi, psicologa

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