Bombe “intelligenti” su Reggio e la Calabria

Riceviamo e Pubblichiamo

Nei giorni scorsi, l’opinione pubblica calabrese ha registrato l’ennesima scossa tellurica provocata da una posizione assunta “oltre le righe” a fronte di un approccio per nulla laico ed assai poco lucido che ci si ostina a sistematicamente riservare alla disamina delle complesse problematiche sottese al delicato compito di rendere Giustizia in terra di Calabria.oreste romeo A scanso di equivoci che si ritengono fin da adesso del tutto improbabili, sarà bene premettere che la diversità di opinioni è il sale della democrazia, e ciò vale, soprattutto, nel momento in cui vengono affrontate tematiche delicate e di importanza strategica per il reale sviluppo di un territorio che merita una dignità ed un rispetto difficili da cogliere nell’attuale stato d’assedio che interessa la nostra Comunità. In particolare, hanno colpito le recenti dichiarazioni dell’ex deputata Angela Napoli, ad avviso della quale, rievocata in maniera forse non del tutto casuale la figura del giudice “ammazzasentenze”, sarebbero “strane” alcune assoluzioni pronunciate pochi giorni addietro “dalle corti di appello catanzaresi e calabresi”. Sono oscure le ragioni poste a base di questa insolita ed immotivata definizione, ed, ove possibile, ancor più vago ed incomprensibile si rivela l’aver richiamato l’attività della Suprema Corte di Cassazione sotto la presidenza di S. E. dott. Corrado Carnevale, icona dei devastanti effetti prodotti dal circuito mediatico-giudiziario sull’immaginario collettivo. In Calabria, come è noto, alla Corte di Appello di Catanzaro si è aggiunta, da qualche lustro, quella di Reggio Calabria, ed è stata proprio quest’ultima Autorità Giudiziaria a sensibilmente rivedere decisioni in precedenza intervenute su fatti che avevano esercitato un ruolo preponderante sullo scioglimento del Comune di Reggio Calabria, quest’ultimo decretato in “forza” di una legge che, nella non condivisa opinione della prof.ssa Angela Napoli, autrice delle dichiarazioni in commento, garantirebbe senza ombra di dubbio il “ripristino di legalità e democrazia”. Non v’è  chi non veda come la ben diversa ed ostinata realtà sia lì, impietosa, sotto gli occhi sgomenti di Reggini e Calabresi, a dimostrare l’esatto contrario: gli interventi solutori hanno ormai certificato “oltre ogni ragionevole dubbio” il default della credibilità e dell’efficacia dell’azione di uno Stato da rivedere nei suoi fondamentali assetti,  ed i suoi organi, in non poche occasioni, continuano a suscitare l’impressione di inseguire percorsi individuali piuttosto che finalità di interesse generale in un ormai smarrito contesto di sinergia interistituzionale. Ma, al di là di questa immediata e banale constatazione che, piaccia o meno, già da tempo fa parte del comune sentire, non vanno taciute le perplessità sugli effetti connessi alla lettura di quelle affermazioni, soprattutto adesso che quello di Reggio Calabria assume i contorni, sempre più nitidi, di un caso di mala sanità istituzionale, ancor più dopo l’insolito, ma chiaramente interessato, pressing finalizzato alla proroga del commissariamento che in riva allo Stretto ha solo prodotto una sconcertante ed esiziale paralisi amministrativa. Il cittadino normale non può fare a meno di interrogarsi sul ruolo della giurisdizione, chiedendosi, in particolare, se essa, a Reggio ed in Calabria, sia o meno subordinata a sconosciute forme di “approvazione”, visto e considerato che il verbo di una importante postazione istituzionale evoca scenari di ingiustificata dietrologia inidonei ad inficiare un percorso di avvicinamento alla verità che si snoda attraverso il necessario, se non sacrale, rispetto delle regole, quasi che queste ultime fossero nulla di più che un fastidioso intralcio. Non solo! La lettura di dichiarazioni così perentorie desta quasi l’impressione, presso l’inerme cittadino comune, che possa esistere, a Reggio ed in Calabria, una speciale quanto sconosciuta legislazione costituente base d’appoggio per esternazioni che finiscono per mettere in un mirino silenziosi, integerrimi ed operosi Servitori dello Stato cui può muoversi l’unico “rimprovero” di essere soggetti alla sola Legge, che è cosa notoriamente ben diversa dal breviario che invece governa il circuito mediatico-giudiziario. Non si ha notizia di ferma e risoluta presa di distanza da parte degli organismi rappresentativi interessati dalle recenti liturgie antimafia, ma si coglie, ed è oltremodo tangibile, il disorientamento del cittadino comune, non in grado di stabilire se quelle insinuazioni dal taglio assai poco istituzionale siano o meno da ritenersi finalizzate ad un inconcepibile tentativo di “condizionamento” della autonomia che non dovrà mai venire meno in capo alla magistratura giudicante. Trarre conclusioni circa la persistenza o meno della compatibilità con il ruolo istituzionale ricoperto, non rappresenta di certo esercizio al quale possa essere interessato chi scrive. Tutt’altra cosa, per venire al cuore del problema, è, invece, l’individuazione del punto di partenza più affidabile per un efficace contrasto al mondo criminale, rimarcando, in proposito, che esso non può che risiedere nella umiltà di una onesta e saggia presa d’atto che lacerazioni e divisioni determinatesi tra le Istituzioni hanno consentito di trarre beneficio al camaleontismo del crimine organizzato: a Reggio ed in Calabria cesserebbero i bombardamenti che riportano alla memoria quelli, assai poco “intelligenti”, ordinati da Bush su Bagdad ai tempi della guerra del Golfo.

Oreste Romeo, avvocato

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