Disoccupazione giovanile al Sud, tra leggende e verità

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15:00 – Mai nella storia d’Italia si era raggiunto un livello di disoccupazione giovanile oltre il 40%, e con dati del genere alla mano la domanda più frequente è: “a cosa si deve questa situazione allarmante?”. Si potrebbe stilare un elenco delle cause che hanno portato i nostri giovani a patire nell’ambiente lavorativo, ma di sicuro gli aspetti da considerare vanno ricercati proprio tra loro. Per questo motivo abbiamo chiesto loro quali difficoltà o quali atteggiamenti mettono a rischio l’equilibrio giovanile nell’ambito lavorativo. Ciò che è emerso va collocato in una interessante cornice dove le responsabilità vanno divise al 50%, dove da una parte troviamo elementi legati alla situazione in cui il nostro Paese riversa, dall’altra parte vi è un errato approccio da parte dei giovani nei confronti della vita lavorativa, ma anche verso un’accettazione delle responsabilità. Riconoscendo le difficoltà nel trovare lavoro in una società dove solo i figli di papà dormono sonni tranquilli e dove si manifestano eccezioni meritocratiche, ci vogliamo concentrare sulle testimonianze dei giovani che potrebbero cambiare la situazione, ma che per un’oscura ragione non lo fanno. Abbiamo chiesto a quattro giovani (tra i 23 e i 28 anni) le loro esperienze nella ricerca di lavoro al Sud, in particolare a Reggio Calabria. Laura, 26 anni, laureata in scienze agrarie col massimo dei voti, a distanza di due anni dal giorno in cui ha conseguito la laurea non ha ancora trovato un’occupazione. “Purtroppo in questa città non c’è nulla, all’università vanno avanti i raccomandati e la situazione non cambierà”. Oltre queste affermazioni c’è di più: Laura, nonostante abbia scelto un settore di studi molto ambito nel nostro territorio per via delle attività legate alla flora e la fauna della regione, ammette di aver seguito un corso di studi dai limitati sbocchi lavorativi. Ha provato ad inviare curricula alle aziende, ma la risposta che ha avuto suona sempre familiare: “cerchiamo persone con esperienza”. Come fai a possedere esperienza se non ti viene permesso di farla? Ma la situazione è tale da essere chiara la via d’uscita: cercare lavoro altrove, all’estero o semplicemente al Nord. Purtroppo Laura ha delle debolezze sul campo affettivo che le fanno escludere a priori la possibilità di andar via da sola, di buttarsi in una nuova città o paese, e se da un lato ammette di poter usufruire degli aiuti economici di due genitori stipendiati, dall’altra preferisce restare a Reggio Calabria per dare una mano in casa. Ma non solo, Laura non se la sente di iniziare un lavoro in un campo differente da quello promesso dagli studi intrapresi, quindi tende ad escludere una qualsiasi soluzione alternativa. Allora forse è proprio questo l’errore di tanti giovani laureati: piuttosto che fare una mansione diversa per quella che si ha studiato, si preferisce stare a casa con mamma e papà. Caso simile per Alberto, 25 anni, iscritto ad economia da 7 anni e ancora lontano dalla tesi. Non riesce a conciliare le attività e le relazioni che lo tengono occupato durante il giorno con quelle legate allo studio. “Se dovessi studiare a tempo pieno non potrei avere amici, svaghi, una fidanzata. Vivo con i miei genitori ed i miei fratelli ed essendo il più grande devo badare loro, tenerli d’occhio, dare una mano in casa ai miei che sono grandi d’età, ed ho una certa responsabilità nelle attività della mia parrocchia. Prima o poi mi laureerò, tanto lavoro non ce n’è quindi la prendo comoda”. Alberto racconta di come metta al primo posto la propria vita privata, le relazioni e la fede, poco importa se non termina gli studi perché le aspettative sono comunque demoralizzanti. A Dario, 27 anni, – invece – è andata particolarmente meglio: ha abbandonato gli studi di chimica per intraprendere la carriera del padre in un settore totalmente differente da quello inizialmente scelto. “Lo spirito d’adattamento è tutto, non era quello a cui ambivo ma in tempi difficili come questo è stata una provvidenziale opportunità”. Luca, 28 anni, laurea col massimo dei voti, master e uno spiccato talento creativo, combatte nella propria città con i coetanei. Che sia il migliore sulla piazza poco importa, perché bravo in questi casi è sinonimo di “caro”, e quindi le aziende o i piccoli imprenditori scelgono di ripiegare su ragazzi di qualche anno in meno e che possiedono poche pretese. “Quando mostro il mio portfolio o le mie abilità – racconta Luca – ne restano tutti stupiti, riempiendomi di complimenti si compiacciono di come io abbia sviluppato delle abilità nel mio settore che perfino all’estero invidierebbero. Poi però fanno spallucce davanti ai miei preventivi, che tengo a sottolineare sono adeguati e ben bilanciati, e mi liquidano perché c’è sempre qualcuno che pur di fare esperienza e accrescere il curriculum si presta a lavori poco retribuiti o del tutto gratuiti”. Questa visione che Luca porta alla nostra attenzione andrebbe realmente analizzata, poiché se tutti i nuovi talenti iniziassero a pretendere, esigere un giusto riconoscimento della propria arte, del proprio lavoro e delle tante abilità messe sul mercato, forse i “datori di lavoro” apprezzerebbero la professionalità invece di preferire la convenienza del momento. Come si denota, quindi, la disoccupazione giovanile ha vinti e vincitori, colpe da dividersi in una parità comunque scomoda per tutti. Non bisognerebbe accontentarsi, cullarsi sulla presenza di un supporto familiare ma nemmeno scartare le alternative proposte solo per inseguire delle strade senza sbocchi.

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About the Author: Ilenia Borgia