Verso la resa dei conti in casa Pd

“Vi propongo di votare con chiarezza un documento che segni il cammino del Pd sui temi di lavoro e occupazione e che ci consenta di superare alcuni tabù che ci hanno caratterizzato in questi anni”. Lo ha detto il Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, aprendo la Direzione del Pd sulla Riforma del Lavoro. Sulle divisioni interne al partito, il premier ha aggiunto: “Le mediazioni vanno bene, il compromesso va bene, ma non si fanno a tutti i costi”.  Alla direzione del Pd, Renzi ha chiesto “una profonda riorganizzazione del mercato del lavoro e anche del sistema del welfare”. “Serve un Paese che vuole investire e dare risposte ai nuovi deboli che sono tanti e hanno bisogno di risposte diverse da quelle date finora. La rete di protezione si è rotta, non va eliminata ma ricucita, sapendo che c’è uno Stato amico che li aiuta”. Riunione senza fine in casa Pd, dopo ore e ore sembra non si sia raggiunta alcuna intesa  tra i vertici di Cgil, Cisl e Uil per cercare una posizione comune sul lavoro e l’articolo 18. Il cuore del dibattito infatti è  il caro Articolo 18: “Se vogliamo dare tutela ai lavoratori – ha affermatoRenzi – non è difendendo una battaglia che non ha più ragione di essere ma intervenendo sugli ammortizzatori sociali con la garanzia del reddito per i disoccupati proporzionale all’anzianità contributiva, come succede in quasi tutti gli altri Paesi”. Il premier ha quindi confermato che “in legge di stabilità saranno stanziate le cifre: sono disponibilissimo a ragionare di stabilità”. “La riforma dei centri per l’impiego è uno sfidare il sindacato, e il sindacato ha bisogno di essere sfidato anche su questo”. “In altri Paesi – ha proseguito – l’accompagnamento dei disoccupati è svolto dal privato no profit. E dove sta il sindacato o il terzo settore – ha concluso – se non a fianco di chi non ha lavoro?”. Renzi si è quindi detto “pronto a riaprire” il confronto con i sindacati su “una legge sulla rappresentazione sindacale, la contrattazione di secondo livello e il salario minimo”. Nella legge di stabilità ci saranno “almeno due miliardi di euro di riduzione del costo del lavoro, ha annunciato il premier, ribadendo che resterà il bonus degli 80 euro e ci sarà un miliardo e mezzo “per i nuovi ammortizzatori sociali”.

Di cosa tratta davvero la riforma del lavoro del governo di Matteo Renzi? Licenziamenti più facili e criteri più stringenti per l’accesso alla cassa integrazione. Ma anche nuovi ammortizzatori sociali per i dipendenti precari e sostegni alla maternità per le lavoratrici autonome, che attualmente sono molto svantaggiate rispetto alle donne assunte con un contratto da dipendente. Sono questi, in sintesi, i pilastri del Jobs Act, la riforma del welfare del governo Renzi, che sembra ispirata da una “filosofia” di fondo: per modernizzare il mercato del lavoro italiano, bisogna eliminare alcune tutele oggi esistenti per introdurne altre a sostegno di alcune categorie di lavoratori particolarmente disagiate. La riforma del lavoro alla luce del caos che esalta le incongruenze e i conflitti ideologici  della politica italiana, è ancora da scrivere nel dettaglio,  ma il punto più controverso è senza dubbio l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, che disciplina i licenziamenti individuali. Chi viene assunto dalle aziende con più di 15 dipendenti e poi viene lasciato a casa ingiustamente, non avrà più diritto a essere reintegrato sul posto di lavoro, anche quando il giudice stabilirà che il licenziamento è illegittimo. Per il lavoratore, ci sarà soltanto un indennizzo in denaro, proporzionale all’anzianità di carriera. Maggiore è l’anzianità, più alto è il risarcimento spettante al lavoratore. Queste regole, si applicheranno però soltanto ai nuovi assunti e non a chi oggi ha già un’occupazione.  Diventerà meno generosa la cassa integrazione guadagni (cig) che consente alle aziende di lasciare temporaneamente a casa alcuni dipendenti, in caso di crisi o di riduzione del fatturato. Verranno probabilmente fissati dei limiti temporali per l’utilizzo della cig (si parla di 12 mesi). Inoltre, non potranno accedere alla cassa integrazione le imprese che hanno cessato completamente l’attività o hanno ceduto un ramo d’azienda. L’utilizzo della cig sarà impedito anche alle aziende che non hanno sperimentato prima altre forme di riduzione dell’orario di lavoro, allo scopo di salvaguardare l’occupazione (per esempio i contratti di solidarietà). Con il Jobs Act il governo si impegna a far partire finalmente i fondi di solidarietà, già previsti dalla riforma Fornero del 2012 e non ancora decollati. Si tratta di ammortizzatori sociali che dovrebbero svolgere gli stessi compiti della cassa integrazione, nelle aziende che non possono accedervi (come le microimprese). Mentre si prevede di ridurre le prestazioni della cig, sul fronte opposto il governo punta ad allargare i sussidi alla disoccupazione (Aspi) anche ad alcune categorie di lavoratori oggi esclusi. Si tratta, nello specifico, dei precari assunti con contratti ultraflessibili come le collaborazioni a progetto. Sempre in tema di ammortizzatori sociali, il Jobs Act di Renzi ha l’obiettivo di estendere anche i sostegni per la maternità alle lavoratrici autonome, che oggi godono indubbiamente di minori tutele rispetto alle donne assunte con un contratto da dipendente. Uno dei pilastri del Jobs Act è la riforma dei Centri per l’Impiego, cioè gli ex-uffici di collocamento pubblici, che hanno il compito di aiutare i disoccupati a trovare un nuovo lavoro. Purtroppo, oggi queste strutture riescono difficilmente ad assolvere alla loro missione e intermediano soltanto il 3% delle assunzioni. Con la riforma del governo Renzi, dovrebbe essere creata una nuova Agenzia Nazionale per l’occupazione, che avrà il compito di far incontrare la domanda e l’offerta di lavoro e e di gestire anche gli ammortizzatori sociali (al posto dell’Inps). L’obiettivo è creare un sistema di welfare più efficiente, in cui il disoccupato percepisce un’indennità di disoccupazione la cui durata cresce all’aumentare dell’anzianità contributiva. Per ottenere assistenza, chi è rimasto senza lavoro deve però impegnarsi a seguire dei corsi di formazione professionale che lo aiutino a trovare un nuovo impiego. In caso di rifiuto, il disoccupato perde il diritto all’indennità. I corsi di formazione dovrebbero essere offerti attraverso una partnership tra pubblico e privato (come avviene oggi per i contratti di ricollocamento, che sono ancora in fase sperimentale). In pratica, ai disoccupati verrà fornito un voucher, da spendere per dei percorsi di formazione presso agenzie di lavoro private. Quest’ultime potranno però incassare l’intero ammontare del voucher soltanto quando avranno assolto pienamente ai loro compiti, cioè quando saranno riuscite a trovare un nuovo impiego per il disoccupato.

Com’ è oggi e  come sarà l’ Articolo 18 è ancora da stabilire nonostante i contorni e i contenuti impastati, il problema rimane l’ opposizione interna. D’ Alema e Bersani non hanno nascosto il loro disappunto sulla scarsità dei risultati ottenuti dal premier: “Penso con sincero apprezzamento per l’oratoria che è un impianto di governo destinato a produrre scarsissimi effetti e questo comincia ad essere percepito nella parte più qualificata dell’opinione pubblica. Meno slogan, meno spot e un’azione di governo più riflettuta credo possa essere la via per ottenere maggiori risultati”; per occuparsi di certi temi  non occorre sapere le cose. Ma, certo, studiare sarebbe utile. D’Alema ha citato il premio Nobel Stiglitz, che dice che «il mercato del lavoro non si riforma quando c’è recessione, ma quando c’è crescita. Sentire un presidente del consiglio dire “è giusto che il padrone possa licenziare” è una cosa che non induce esattamente al consumo». Così l’ oppositore della vecchia guardia ha scosso la Direzione del Pd con il suo intervento. Bersani invece: “Discutiamo, ma no al metodo Boffo” – “Cerchiamo di raffreddarci un po’ la testa perché abbiamo i problemi dell’Italia da affrontare. Io dico la mia che non è di quello del 25%, del conservatore o di uno che cerca la rivincita o gioca la partita della vita. Attenzione: noi andiamo sull’orlo del baratro non per l’art. 18 ma per il metodo Boffo, uno deve potere dire la sua senza che gli si tolga la dignità e io voglio discutere prima che ci sia un prendere o lasciare”. Al di là degli scontri ideologici destinati a proseguire così come vuole il gioco senza regola della politica, la riforma del lavoro è essenziale, ma a che prezzo? Sacrificando chi? Produttività e qualità come si raggiungono se l’ eccesso di precarietà distrugge la dignità della collettività? Articolo 18, questione di principio o d’ interesse?

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About the Author: Annamaria Milici