Corte di Giustizia Ue: da part-time a full-time decide il datore di lavoro

La riforma del lavoro che nel nostro Paese sta attraversando la dura fase dell’approvazione, dopo aver superato le altrettanto dure fasi della proposizione e della discussione, risente chiaramente dei pesanti condizionamenti europei. Le decisioni  prese dalle istituzioni europee nel corso degli anni, infatti, hanno determinato la creazione di una impalcatura, profondamente diversa da quella italiana, che, da un lato, rende necessari aggiustamenti o modifiche radicali, dall’altro, definisce ambiti di intervento differenti o incide addirittura direttamente. Gli stravolgimenti dettati dai trattati, per esempio in ambito finanziario e bancario, ma anche da singole decisioni all’interno dell’ampio panorama economico, hanno – è bene ricordarlo – trovato la piena adesione della classe politica italiana. Quest’ultima, infatti, non solo non ha opposto, e continua a non opporre, la minima resistenza dinanzi a quegli interventi europei che hanno penalizzato, e continuano a penalizzare, il nostro tessuto socio-economico, ma non si è nemmeno preoccupata di rendere la pillola indolore per il popolo italiano.

Una delle ultime perle di saggezza arriva proprio oggi. Secondo una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione, infatti, a un datore di lavoro è consentito decidere se trasformare o meno un contratto part-time in un contratto a tempo pieno senza nemmeno doversi prendere il disturbo di consultare il lavoratore, il quale si troverebbe, pertanto, nella odiosa – per  non dire di peggio – situazione di dover accettare anche contro la sua volontà.

UeSecondo quanto è emerso – sulla base del ricorso di una funzionaria del tribunale di Trento che si è opposta alla “trasformazione”, su decisione del Ministero della Giustizia, del part time  in un tempo  pieno, senza nemmeno essere stata consultata – l’accordo quadro sul lavoro a tempo parziale “ammette una normativa che consente al datore di lavoro di disporre, per ragioni obiettive, la trasformazione del contratto di lavoro da contratto a tempo parziale in contratto a tempo pieno senza il consenso del lavoratore interessato”. Nel caso specifico, sulla base della legge 183/2010, l’Amministrazione pubblica può, quindi, decidere, giacché – si legge – “tutte le amministrazioni pubbliche possono (entro centottanta giorni dall’entrata in vigore della stessa), nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede, sottoporre a nuova valutazione i provvedimenti di concessione della trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale già adottati”.

Tuttavia – chiarisce la Corte di Giustizia – “la direttiva 97/81 e l’accordo quadro sono diretti a “promuovere il lavoro a tempo parziale, su basi accettabili sia per i datori di lavoro sia per i lavoratori”, nonché ad  “eliminare le discriminazioni tra i lavoratori a tempo parziale e quelli a tempo pieno”.

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About the Author: Luigi Iacopino