Intervista a Ottodix

Abbiamo fatto quattro chiacchiere con Alessandro Zannier, il deus ex-machina dietro al decennale progetto Ottodix. Tanti gli argomenti toccati e le future iniziative per accompagnare l’uscita del suo nuovo e quinto lavoro discografico dal titolo “Chimera”, disponibile dal 20 novembre per Discipline Records; un raffinato mix di pop ed elettronica di tendenza che sarà anche una mostra e un cortometraggio. Ecco cosa ne è uscito.

ottodix“Chimera”: raccontaci come è nato il tuo nuovo album. Mi sono imposto dapprima un periodo di inattività compositiva, per maturare nuovi stimoli. Poi, con una certa fatica, ho scritto e arrangiato le prime 3 – 4 canzoni, che reputavo molto buone, però senza un apparente filo conduttore o una strada precisa. Per darmi una direzione avevo bisogno di uno spunto, un esperimento più estremo. In questi casi si aprono i cassetti mentali delle idee “momentaneamente accantonate”. Ci ho trovato dentro uno sfizio che volevo togliermi da tempo. Una suite per archi e orchestra, fiati e cori, molto retrò, stile primi ‘900, mescolata con un certo gusto rumorista caro ai futuristi in salsa elettronica attuale. Volevo avesse l’aspetto di un brano da colonna sonora, quindi ho preso registrazioni di momenti storici del ‘900: la voce di Hitler, il discorso di Kennedy a Berlino, l’annuncio di Enrico Fermi sull’energia atomica e così via. Ho poi campionato, tagliuzzato e rimontato a ritmo intere sequenze di films, tra le quali la battaglia di Ripley a bordo dell’androide-muletto in Aliens Scontro Finale, per creare una struttura ritmica fatta da una serie di passi lenti, meccanici, robotici. Ho immaginato un grande mostro bio meccanico che si trascinava stanco e che rappresentava il Novecento, un secolo che non vuole saperne di morire, con i suoi vecchi retaggi e le sue dannose ideologie. La Chimera del Novecento. Un secolo che ci ha portato dalle carrozze allo spazio e al digitale, pieno di violenza, ombre e controsensi. E’ nata così “Chimera Meccanica a Vapore”, il brano chiave che spiega tutta l’operazione. Era un concentrato troppo denso di contenuti per relegarlo solo a un disco di alternative – electro pop. Ho pensato, vista la mia attitudine a trovare un filone, un concept o un vestito caratteristico per ogni mio album, che potesse essere la traccia guida di un’operazione più vasta, da far nascere contemporaneamente anche nelle arti visive. E’ nato il progetto “10 Chimere”, che mi ha suggerito le tematiche delle canzoni rimanenti e ha configurato un progetto estremamente coeso tra arte e musica, come mai ero riuscito a fare fino ad ora. Il disco esce il 10 novembre e ne vado molto fiero. Credo sia il migliore che ho scritto e lo stesso posso dire per le installazioni e le mostre ad esso collegate.

Alcuni dei titoli di Chimera incuriosiscono molto, come ad esmpio “Napoleone” e “King Kong”… ecco parlaci un po’ di questi brani. La contrapposizione tra antico e moderno è una costante dell’estetica Ottodix. Da dove nasce questo gusto “retrofuturista?” Riguardo al mio amore per il “retro futurismo”, la risposta è facile. Ho studiato e amato molto le avanguardie artistiche dei primi ‘900, quindi amo quello slancio sperimentale verso tutto ciò che era nuovo, avanguardia, ma contemporaneamente amo anche il periodo in cui si è sviluppato, ovvero un’epoca passata, retrò. Come dicevo, il mio scrivere per metafore porta spesso a scegliere delle figure classiche dell’immaginario mitologico, storico o cinematografico collettivo, per arrivare a parlare di una realtà molto più quotidiana, ma sottotraccia. King Kong rappresenta ad esempio la furia selvaggia e animale sepolta a fatica dentro la gente, dentro le popolazioni sfruttate, pronta a riemergere nei periodi di crisi, con tutta la sua furia distruttrice. In questo album denuncio la mia inquietudine per il periodo forcaiolo che stiamo vivendo. Molta ignoranza e molta legittima rabbia possono dare vita a pericolosi nuovi mostri, se abilmente coordinate da profeti o oratori capaci di parlare per slogan ad effetto. King Kong è la scimmia tenuta in catene, la parte più ancestrale e selvatica di noi, pronta a distruggere tutto, scavalcando la ragione, scalando i grattacieli di Wall Street fino a distruggere gli aereoplani del progresso. Napoleone è invece in questo caso un condottiero di battaglie d’amore impossibili, di cause perse. La metafora della vicenda napoleonica l’ho fatta coincidere con i tentativi di una persona capace di inseguire come Moby Dick la sua battaglia personale con l’oggetto impossibile del suo desiderio.

“Post” è il primo singolo estratto da “Chimera” Che cosa vuoi rappresentare con questo termine? Post è un mio personale sfottò a tutta quella sedicente “controcultura” trandy e alternativa che si finge intellettuale proponendo opere, musica, videoinstallazioni o eventi “cool” minimalisti, fatti spesso (non sempre) di non detti, talmente omologata e autoreferenziale da non accorgersi di non avere alcun contenuto. Spesso il troppo non detto non dice davvero nulla, ma guai a dirlo. Verresti immediatamente smascherato e additato come un reazionario che non ha colto lo spirito della nuova arte o della musica contemporanea. Post fa il verso anche a tutte le “nuove tendenze”, che hanno così poca fantasia, che nemmeno riescono a inventarsi un nome nuovo, preferendo nascondersi dietro a vecchie consolidate scene, con l’aggiunta della dicitura POST. (Post punk, Post Rock, Post Modern, Post Human eccetera). Infine dico Post perché è ora di lasciarsi alle spalle tutto questo. Il minimalismo di cui sopra, credo che rappresenti la più lunga e furba vacanza di comodo degli intellettuali dalla complessità delle cose del mondo reale. E’ un periodo maledettamente complicato e per riflettere tutta questa stratificazione di tensioni e analizzarla, si deve necessariamente tornare ad affrontare cose complesse. Chimera infatti è un album volutamente complesso e “Post – minimalista”. Giusto per contraddirmi.

Uno dei brani di Chimera si intitola “fine del futuro”. Come vedi tu il tuo tuo futuro? E quello in generale della tua generazione? La folle velocità del capitalismo e della competitività ci sta spingendo forse verso un non ritorno, ma anche verso un muro (o un baratro). Sicuramente si arriverà a una soglia di sbarramento della sostenibilità. E’ fisiologico, uno scontro avverrà, o con un muro o con il suolo. Per la mia generazione ormai c’è poco da fare, solo convivere con le briciole di questa epoca di passaggio. Per quella futura, tuttavia, sono più ottimista. Guardo con attenzione e speranza ai nuovi modelli sociali in via di sperimentazione in altri Paesi, nell’utilizzo di una tecnologia più a misura d’uomo, a favore dell’ambiente e alla filosofia della decrescita consapevole, dell’energia rinnovabile, dello spostamento del lavoro verso le attività culturali e ambientali. Credo che per le prossime generazioni, magari non la prossima, ma quelle future, ci potranno essere tempi migliori. La nostra generazione, di passaggio tra l’era della tecnica e l’era della tecnologia, si è trovata in mano strumenti straordinari troppo in fretta e non ha imparato in tempo a tradurli in riorganizzazione efficace del futuro. Le prossime generazioni, più globalizzate dalla nascita, più a proprio agio con le lingue e la tecnologia, credo potranno guardare a questo periodo oscuro come a un monito, ma avranno possibilità migliori delle nostre. Chimera, nonostante l’apparente cupezza, è un album che incita a rimboccarsi le maniche e a credere di nuovo nel futuro, purché sia diverso. E’ con “Ucronìa”, il tema dell’auspicata ricostruzione dopo l’apocalisse, che inizia.

Come è nata la collaborazione con Discipline Records, la label di Luca Urbani che ha prodotto Chimera? Dopo il tour Gialloelettrico di Garbo, nel 2006, in cui io e la band siamo stati un tuttuno con lui on stage per un anno e mezzo. Discipline è l’etichetta fondata da Garbo stesso ed è venuto naturale, quindi, il sodalizio discografico. Interrotto solo con l’album “Le Notti Di Oz” del 2009. Luca Urbani è il socio di Garbo ed ormai il mio riferimento per Discipline, oltre che amico e ottimo autore. E’ un artista attivo, quind un discografico perfetto, perché vive in trincea dalla mia parte l’esperienza della musica. Finisco i miei album in piena autonomia e glie li sottopongo una volta ultimati.

Chimera non è solo un disco ma è anche un progetto che coinvolge le arti visive. Ci spieghi meglio questa idea delle 10 installazioni itineranti? E come si collegano al concept espresso nel disco? Il tema mitologico della chimera è legato alla figura ibrida del mostro a tre teste, con corpo e testa di leone, di capro e di serpente. E’ un mostro inquietante, ma anche sinonimo di utopia, di qualcosa di impossibile e inottenibile. L’album Chimera è dedicato agli utopisti e allo spirito visionario dell’uomo, che fa sì che si possano immaginare orizzonti fino a quel momento impensabili, scardinando il presente nel tentativo di immaginare il futuro. In musica, quindi, ho voluto indagare più l’aspetto visionario e utopistico dell’uomo, che dopo i periodi di “apocalisse” imminente, come questo, di solito rialza la testa per scrutare nuovi orizzonti possibili. In arte, invece, sto analizzando l’aspetto mostruoso della chimera, la parte negativa di questo periodo storico, ovvero la persistenza delle vecchie utopie, alle quali ho dato la forma metaforica di creature mostruose. Ho individuato una decina di ideologie, utopie, convinzioni, schemi mentali o miraggi tipici della cultura novecentesca, attribuendo loro la responsabilità di questa epoca globale di tensioni, di cataclismi economici, sociali, ambientali e culturali. Sto dando loro le sembianze di spaventose, ma affascinanti creature, quasi come fossero dei babau, guardiani del conservatorismo. L’idea è quella di presentarle in varie città, magari abbinandole idealmente, la dove possibile, all’identità dei luoghi che le ospitano. Sono installazioni che poi vengono distrutte, perché devono mettere in scena un concetto-spauracchio, un feticcio che va idealmente individuato e eliminato dalla storia. Ne rimarrà solo una documentazione e alcune reliquie.

Una delle tue Chimere è stata esposta di recente a Pechino in occasione della Biennale Cina-Italia, al fianco di opere di artisti di fama mondiale come Maurizio Cattelan e Michelangelo Pistoletto. Come è stata per te questa esperienza? Cosa ti ha lasciato? E’ stata una grande sorpresa perché sono stato contattato dal curatore della Biennale, un utopista almeno quanto me, (merce rarissima di questi tempi) incuriosito dalla mia propensione alle opere di grandi dimensioni e ai progetti interdisciplinari a tutto campo che ogni volta imbastisco tra musica e arte. Non sapevo che mi sarei trovato a fianco di simili mostri sacri e la cosa mi ha fatto ovviamente un enorme piacere, ma la soddisfazione più grande è l’avere esposto all’Art District 798 di Pechino, uno dei centri attualmente più importanti dell’arte mondiale. All’inaugurazione è comparso anche Ai Wei Wei e incredibilmente le tre opere più dibattute e analizzate dalla stampa cinese sono state proprio quelle di Pistoletto, di Cattelan e la mia. L’opera era “Chimera 5 – L’utopia della crescita perpetua” ed era una farfalla gigantesca di 6 metri x 6 con un corpo di bambino-crisalide, molto simile a un bambino cinese, che sopporta sofferente un carico alare sproporzionato che gli sta strappando le braccia. Rappresenta la crescita sproporzionata economica della Cina, ma anche quella del sistema occidentale a cui essa ha fatto riferimento. Una critica ai cinesi (e a noi occidentali) fatta in casa dei cinesi stessi. Un azzardo bello e buono, a ben pensarci. L’opera è ancora lì in trattativa per essere acquisita.

Ti senti più musicista o più artista visivo? In che modo questo dualismo artistico e questo doppio talento convivono nell’unica persona di Alessandro Zannier? Come si influenzano a vicenda, se questo accade? E’ stato un percorso difficilissimo, perseguito fin dall’inizio, durante gli anni dell’Accademia, ma che solo ora trova una sua epifania. Inizialmente ho quasi abbandonato le arti visive, rapito dalla musica. Poi, con la pubblicazione dei vari album e il lavoro grafico e di concetto da sviluppare, ho sentito la necessità di far rientrare tutto il mio potenziale di artista visivo a supporto. Fin da subito ho iniziato a collegare mostre ai concerti, per dare più risalto ai meticolosi lavori grafici realizzati di volta in volta. Dopo l’album “Le Notti Di Oz”, questa esigenza secondaria è divenuta parte integrante del processo creativo. Ora non scrivo più album e poi ci costruisco attorno mondi estetici. Ora costruisco mondi concettuali ed estetici e di pari passo ci costruisco musica e parole. Chimera è davvero la prima mia creatura ibrida perfetta, anche per questo trovo che il titolo dell’album sia molto rappresentativo.

Hai calcato davvero tanti palchi in Italia e all’estero, come vivi la preparazione della scaletta di ogni serata? Hai un tuo particolare rituale? All’estero meno e anni fa, comunque l’acqua sotto i ponti è davvero tanta. Non credo che abbiamo rituali, se non l’assicurarci un po’ di alcol in palco prima di salire. Siamo molto sereni quando stiamo per esibirci; siamo amici da tempo e in grado di ridere sopra a ogni sorte avversa, ormai. L’unica cosa che ci turba spesso è l’abitudine sempre più radicata del pubblico (e incomprensibile perché è solo in Italia) di arrivare molto tardi alle serate e ai concerti. Questo procura un po’ di tensione per il ritardare sull’inizio dell’esibizione, ma quando si sale on stage, che ci siano 10 o 1000 persone, si va. Poi alla fine ti rendi conto che la sala si è popolata e allora dai il meglio.

Vuoi lasciarci dei riferimenti? Dove possiamo vedere le tue prossime date? Ci stiamo muovendo in tutta Italia e man mano altre date arriveranno. Per ora tocchiamo Treviso, Milano, Acqui Terme, Trieste, Bologna, Padova e Verona, anche con le mie mostre, anche con il trio electro minimal + tromba, assieme a Templezone e Massimo Berizzi. Seguiteci alla pagina ufficiale di Ottodix su facebook e nel sito appena rinnovato www.ottodix.it, mentre per gli eventi collegati alle mostre d’arte segnalo il mio sitowww.alessandrozannier.com

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