Radici profonde che non temono il vento

giudiciPuò dirsi privo di significato e del tutto casuale che  il nuovo Presidente della Corte Costituzionale, lo scorso novembre, esprimendo, fresco di insediamento, il fermo convincimento che sia compito del Parlamento intervenire prima del Giudice, abbia inteso mettere platealmente le mani avanti sulla Legge Severino? Deve ritenersi fuorviante l’interpretazione delle parole del Presidente della Corte Costituzionale alla stregua di un volersi “chiamare fuori” dall’agone politico nel quale il Giudice delle Leggi sembra che comunque un ruolo lo abbia, nei fatti, esercitato? Comunque la si pensi in proposito, non ci si può sottrarre ad altri interrogativi. Perché ci si avvede solo oggi, cioè dopo che si è alimentata l’antipolitica e trasformato il Parlamento nel moderno Colosseo, che la Legge Severino espone la Giustizia al rischio che essa possa essere percepita come il Piazzale Loreto del nostro tempo? Perché nessuno si è avveduto per tempo che sotto quell’ardito e barbaro novum legislativo si potesse celare un marchio di fabbrica capace solo di evocare purghe di staliniana memoria? Il nodo del varo di quella Legge va sciolto, magari chiarendo una volta per tutte se si sia trattato o meno di uno step di un percorso tortuoso ed opaco orientato al capovolgimento della Volontà Popolare espressa nel 2008 con la più larga maggioranza vista dalla storia repubblicana. Vero è che non si contano i minuetti istituzionali dettati dalle attuali contingenze, ma è del pari vero che rimane impresso nella memoria degli Italiani il momento in cui la Corte Costituzionale rase al suolo il Lodo Alfano, e con esso il consenso popolare, pressoché plebiscitario, che il corpo elettorale nel 2008 aveva concesso per reclamare la stabilità di governo, obiettivo ragionevolmente perseguibile solo grazie ad una moderna e finalmente accettabile declinazione del principio costituzionale di divisione tra Poteri dello Stato ed Ordine Giudiziario. E dunque, l’italico voyeurismo giudiziario che ha dato avvio ad una stagione di eurosputtanamenti  e simultanee dimissioni dell’ultimo governo direttamente riconducibile al legittimo volere  Italiani, merita di essere inquadrato alla stregua di vera e propria arma di distrazione di massa? In altri termini, esiste un pur labile nesso con l’atipico varo di un governo tecnico tenuto al guinzaglio dalla nazi-tecnocrazia europea che sembra aver trovato sponda in una forma di presidenzialismo sconosciuta alla “più bella del mondo” che improvvisamente ha smesso di far mostra di se alle estenuanti e sterili inaugurazioni dell’anno giudiziario? Il nuovo Presidente della Corte Costituzionale, in passato Presidente dell’ANM, con un commento solo in apparenza laconico, ha preso le distanze dalla politica intimando alla stessa di assumersi la responsabilità della inevitabile rimodulazione di  una legge palesemente incostituzionale, rivelatasi, però, arma letale per una sola e ben individuabile parte politica. Adesso che la “normalizzazione” sembra un fatto, se non compiuto, certamente avviato, la ratio di quella legge dovrebbe essere necessariamente un’altra: tutta da inventare! Ed, allo stesso modo, sembra che abbia avuto termine anche la pennichella che ha impedito ai parlamentari di accorgersi di quanto si stesse imbarbarendo la vita pubblica del e nel Paese, e la sveglia, non a caso, l’ha data, sempre a novembre scorso, il piddino neo Vice Presidente del CSM, accortosi che “rimuovere un sindaco dopo una sentenza di primo grado per un reato come l’abuso d’ufficio è eccessivo”. E dunque, se non è compito del Giudice delle Leggi, né dei Giudici, sarà onere gravosissimo della politica dei gattopardi certificare, liquidandoli, gli eccessi di una legge barbara che sin qui ha pedissequamente assecondato e soddisfatto non solo gli istinti peggiori della pancia di un Paese sofferente e lacerato, ma anche quelli dell’ipocrisia dei “nuovi” padroni del vapore. Le parole pronunciate lo scorso autunno dalla quarta carica dello Stato sono state un chiaro monito e sembrano avere invitato perentoriamente chi ha voluto la bicicletta a pedalare. I giudici amministrativi sembrano aver già colto il segnale. E nessuno pensi che le toghe abbiano intenzione di occupare abusivamente i pascoli altrui, potendosene adombrare, in primis, il redivivo Sindaco di Napoli, da qualche ora seguito a ruota dal suo omologo di Salerno, l’uno e l’altro, insieme, pronti a miracol mostrare. Così è, se vi pare! E che l’Italia continui ad essere il terreno ideale in cui è nota di merito accorgersi di scomodi compagni di avventura con inconcepibile e colpevole ritardo, comunque dopo essersi posti solo un problema di reputazione, giammai di coscienza. Chi invece non è attrezzato per compiere miracoli, soprattutto mediatici, si dimette per non delegittimare un’Istituzione conquistata con la sola forza del consenso popolare, ben potrà consolarsi di essere destinato a rimanere gigante e, soprattutto, nel cuore della gente che non ha “santi” a cui votarsi. Ma vai a spiegarlo, nell’Italia delle scorciatoie, che non si deve temere il vento se le radici sono profonde …

Oreste Romeo (Reggio Futura)

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