Il Generale Roberto Segre

SegreTutti conoscono la storia del colonnello Giacomo Segre che ordinò ai cannoni italiani di aprire il fuoco a Porta Pia. Poco nota è quella del figlio Roberto, narrata da Antonino Zarcone, Colonnello d’ Artiglieria, nel libro “Il generale Roberto Segre. Come una granata spezzata nel tempo” pubblicato dall’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito. In copertina una fotografia del generale Segre con capelli all’Umberto e baffi a manubrio. Roberto Segre, nato a Torino da famiglia ebraica, intraprende la carriera militare secondo la tradizione familiare. Partecipa alla Guerra di Libia e alla Grande Guerra come ufficiale d’artiglieria. Subito si mette in luce per i saggi scritti finalizzati a modernizzare l’uso dell’artiglieria. Per questo, il comandante della III Armata, il duca Emanuele Filiberto di Savoia chiese l’assegnazione al proprio comando di Segre “per avere una mente giovane, conosciuta, versata, per universale consenso, nelle questioni inerenti l’impiego di artiglieria”. Ma Segre ha un carattere non facile: poco incline alla diplomazia. Alla fine della Prima Guerra Mondiale è nominato capo della Missione Italiana a Vienna, incaricata di far rispettare le clausole dell’armistizio. Cerca di alleviare le misere condizioni di vita dei viennesi tramite distribuzione di viveri. Organizza il trasferimento di bambini bisognosi in luoghi di cura. Iniziativa sollecitata dalla comunità ebraica viennese. Recupera numerose opere d’arte italiane e cura il loro rientro in Italia. Segre dota la missione di un ufficio stampa per monitorare la stampa austriaca e per divulgare l’attività svolta: una scelta innovativa per quegli anni. Ma la Vienna del primo dopoguerra è una città affamata e in miseria. Elementi che, come sempre, fanno sorgere movimenti politici populisti e antisemiti. La presenza di un capo missione ebreo è un’occasione ghiotta. Ma anche tra gli italiani a Vienna e in Italia la missione non è vista di buon occhio: il diffuso antimilitarismo si salda alla gelosia verso Segre per motivi di carriera. Nei confronti di Segre e di alcuni suoi collaboratori scatta un’inchiesta penale che porta al loro arresto. Saranno tutti assolti: anche in Consiglio di Disciplina. Ma la carriera del generale Segre è ormai danneggiata. Inizia un lungo e faticoso percorso di riabilitazione e si dedica alla pubblicazione di opere di storia militare. Morirà a Milano il 22 settembre 1936. I numerosi messaggi di condoglianze giunti alla famiglia dall’Italia e dall’estero attestano la stima di cui godeva. Tra i tanti, scrissero esponenti dell’ebraismo italiano, alti vertici militari, i professori dell’Hebrew University of Jerusalem. Ma anche semplici cittadini. A causa delle leggi razziali, la moglie Paolina Corinaldi sarà costretta a lasciare l’Italia; rientrerà nel dopoguerra. In conclusione l’autore, il Colonnello Antonino Zarcone, tira le somme del suo lungo lavoro di ricerca. Il generale Segre non raggiunse gli obiettivi che meritava per competenza e preparazione. Accade spesso: per molte ragioni. Nel caso del generale Segre il carattere non lo ha aiutato assieme a un certo grado di antisemitismo in Italia e a Vienna. La vicenda giudiziaria fu il colpo di grazia che spezzò la sua carriera. L’inchiesta fu condotta con superficialità, pressapochismo e palesi violazioni di legge. Oggi del generale Roberto Segre restano alcune intuizioni che poi hanno trovato piena attuazione in ambito militare: il monitoraggio della stampa; l’assistenza alla popolazione civile; la tutela del patrimonio artistico; l’arruolamento di specialisti provenienti dalla vita civile. Questo conferma il giudizio del generale Bencivenga: “fu un anticipatore”.

Tonino Nocera

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