Renzi conosce bene l’abuso della credulità popolare

Matteo RenziConfesso che quando ho letto l’elenco dei reati che, con decreto, il governo vuole trasformare in illeciti amministrativi, con forti inasprimenti pecuniari, ed ho visto che tra di essi vi era anche quello dell’abuso della credulità popolare, ho pensato immediatamente al Fonzie fiorentino che, memore di quanto accaduto alla Vanna Marchi (famosa tele imbonitrice), forse ha pensato essere più opportuno evitare di percorrere la sua stessa strada e patire gli stessi rigori della legge. Non si saprà mai, però, se singolarmente o con una class action, (a meno che non dovessero scendere in campo i ‘maestri’ della pubblica accusa), il nostro caro Renzi avrebbe potuto essere chiamato a rispondere penalmente del reato che, l’abuso della credulità, contemplava. E allora meglio pagare, anche in modo salato (tanto non è un problema per il premier ragazzino), l’illecito amministrativo, anziché provare a fare i conti con la magistratura e magari rischiare di collezionare una serie infinita di condanne penali che gli avrebbero macchiato l’apparire come uomo invincibile senza macchia e senza paura. La scelta di depenalizzare decine di reati, cosiddetti minori, punta comunque a due risultati che possono permettergli di occupare, senza soluzione di continuità, il piccolo schermo, fare conferenze stampa con le slides, e postare tweet con queste misure presentate come nuove ‘riforme’. I due risultati che si cerca di ottenere sono: uno di bassa macelleria com’è quello di far cassa senza essere accusato di aumentare le tasse, e l’altro, si fa per dire, di ‘alto profilo’ presentando le misure inserite nel decreto come essenziali per alleggerire il carico dei magistrati. E poi dicono che Renzi, assieme al suo Ministro di Giustizia, Andrea Orlando, non pensi alla casta giudiziaria e a come liberarla dai reati da ‘cortile’ senza impegnarli anche durante le ferie. Sono in definitiva provvedimenti che non presentano vere opposizioni o significative rotture del feeling che il premier aveva intessuto con una parte della società. Per quei reati che, anche se minori, avevano suscitato grandi perplessità tra i cittadini si è fatta o totale retromarcia o parziale correzione di rotta. La retromarcia è stata ingranata per l’abolizione del reato di immigrazione clandestina che è sembrato una vera e propria misura provocatoria dopo gli indegni e vergognosi (anche per il tentativo mediatico di occultarne la realtà) avvenimenti di Colonia; mentre le correzioni si sono riversate sulla guida senza patente che ridiventa reato solo se si viene ’pizzicati’ una seconda volta illegalmente al volante, e per la cannabis la cui coltivazione non è più reato se effettuata per uso terapeutico. In definitiva, però, si è data vita ad una moderna ‘tassa sul macinato’ che non appare tale e che permette al premier di non essere accusato di continuare a mettere le mani nelle tasche dei cittadini dato che la suddetta tassa sfugge alle statistiche dell’Istat sulla pressione fiscale del Paese incoscientemente inasprita negli ultimi 4 anni. Nel contempo le depenalizzazioni vengono fatte passare per l’ennesima ‘riforma’ da sbandierare, a destra e manca, senza che la stessa possa incidere sullo status della giustizia italiana. Stavolta però il tentativo di abusare della credulità popolare, presentando i provvedimenti assunti come ‘riforma’ epocale, lascerà il tempo che trova perché si conosce, ormai da tempo, lo stato della nostra giustizia che è lontana anni luce da quella giustizia giusta tanto agognata dai cittadini italiani ma sempre bloccata dai veti di chi voleva, nella propria inconsistenza, una visibilità politica, e per l’opposizione di una magistratura che non vuole più rinunciare ai ruoli che le mancate riforme gli hanno consentito di occupare.

Giovanni ALVARO

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