UniRC, presentato ad Agraria il film Made of Limestone dei fratelli Nasuto

Martedì 13 dicembre presso la Biblioteca del Dipartimento di Agraria dell’Università Mediterranea di Reggio Calabria ha avuto luogo la proiezione del film documentario “Made of Limestone: run away or stay in the place where we were born”, realizzato da Andrea e Marco Nasuto. Il film si colloca all’interno di un mini-ciclo di eventi cinematografici promosso dalla Biblioteca, che costituisce un vero e proprio prologo ai seminari della rassegna “Andare/Restare: comunque in movimento”. Prodotto nel 2014, esso ha costituito un vero e proprio “caso culturale”: girato con un ridottissimo budget iniziale (circa 25 euro) e con mezzi tecnici artigianali, grazie alla sua originalità ha immediatamente conquistato l’apprezzamento di tanti, conquistandosi entusiastiche recensioni da parte di intellettuali di spicco (Roberto Saviano, tra essi) e giornali autorevoli (Corriere della Sera, ad esempio). La proiezione del documentario dei fratelli Nasuto è stata introdotta da un intervento di Salvatore Di Fazio, delegato ai servizi di Biblioteca del Dipartimento di Agraria, che ne ha motivato la collocazione all’interno della rassegna, mentre Pasquale Marziliano ha introdotto gli Autori facendo cenno al contesto di riferimento e ai luoghi dove il film è stato girato, avendo egli stesso in qualche modo collaborato alla sua realizzazione in alcuni ambienti di ripresa in Gargano. Andrea e Marco Nasuto oggi non risiedono in Puglia. Da lì sono andati via, come tanti altri. Prima per studiare e poi per perfezionarsi e lavorare, a Roma e Milano e poi in Canada, Inghilterra, Danimarca e negli States, uno in Economia e l’altro in Ingegneria aerospaziale. Eppure, il film nasce da un’urgenza personale di mantenere il contatto con i luoghi di origine, Manfredonia e Monte Sant’Angelo, che è anche l’urgenza di comprendere meglio la propria storia. Il documentario prende le mosse dalla popolarità che il Gargano oggi riscontra all’estero come meta turistica; pur rimarcandone la bellezza, senza indulgere sui luoghi comuni, di questa terra si fa un caso emblematico per l’Italia tutta, luogo di contrasti drammatici e per certi versi paradossali dove le risorse naturali e culturali non vengono valorizzate per come dovrebbero e l’ambiente che si loda viene invece deturpato da insediamenti inquinanti, discariche, crescita edilizia inutile e incontrollata. Sono luoghi da cui la gente comunque va via, segnati da progressivo spopolamento, soprattutto giovanile, e dove le opportunità reali sono poche e frutto di ardua conquista. Così è giusto porre e porsi la domanda se restare lì o andare via, la stessa domanda che agita tanti giovani del sud nelle fasi cruciali della vita. Andrea e Marco, ritornando nella propria terra, la questione non la vivono in astratto, perciò ne chiedono conto concretamente a persone concrete, persone che a loro volta offrono risposte non scontate, legate a scelte che hanno dovuto compiere verso un luogo e a una comunità di riferimento. La ricerca di sé, si sottolinea nella presentazione della rassegna, sempre coincide con la ricerca di un ambito di appartenenza. Andare o restare, ma anche cosa ami – cosa non ami – della tua terra? Alla proiezione è seguito un breve dibattito, introdotto dall’intervento del regista Nino Cannatà. “Il film parla del Gargano, ma parla di noi. Inevitabile è rapportarlo anche alla mia storia. Sono dovuto andar via dalla Calabria per realizzarmi professionalmente, ma negli ultimi anni ho sentito il bisogno di tornar qui spesso. Con il desiderio di ritrovarvi le mie radici autentiche e una cultura viva e vera, da cui mi sento personalmente rigenerato. Tornando vedo però tante potenzialità inespresse e quindi vien su anche la voglia di far qualcosa perché non sia fatalmente così. Trovo il film dei fratelli Nasuto molto bello. Pur nella sua connotazione artigianale, come film low-cost, è anche tecnicamente interessante, fresco, autentico, con un montaggio molto ben fatto”. Durante il dibattito, Vincenzo Palmeri ha osservato che il film in realtà non offre una risposta compiuta. Dalla discussione tuttavia è emerso che semmai esso ha il grande pregio di restare “aperto” e di delineare nitidamente i termini esistenziali e sociali della domanda da cui parte. Vengono sì offerte alcune piste, itinerari di risposta, che poi sono gli itinerari personali seguiti da alcuni degli intervistati, ma poi la domanda viene rimbalzata a chi il film lo vede, chiamandolo a prendere posizione rispetto alla propria stessa vita e alle urgenze che la animano. C’è modo e modo di andare via, così come c’è modo e modo di restare. Chi va via dal sud-periferia per fuggire, ovunque vada si troverà egli stesso periferico, viene detto nel film da uno degli intervistati. La scelta di partire, come quella di restare richiedono la messa in gioco di una intuizione positiva, una fondamentale affezione a sé: la voglia di esplorare nuove realtà, la fedeltà a una vocazione personale, la comprensione dell’unicità e della responsabilità della propria presenza lì dove comunque ci si trova posti. Allora si può andare, forse andare sarà anche meglio, ma per tornare. Tanti luoghi del sud hanno in questo continuo andare e tornare dei loro abitanti il loro respiro. Un altro degli intervistati nel film osserva che è un po’ come la comunità dei pinguini tra i ghiacci polari: si prova a stare accucciati per difendersi dal freddo e chi sta solo o più in periferia più ne soffre; allora deve farsi strada verso il centro, verso l’interno della comunità per sentirne il tepore e riprendere a vivere. È spesso insita nello stesso andare via la nostalgia dell’origine. Un luogo, un gruppo di amici, il colore del mare, il suono dei passi, come segno di una nostalgia più grande, di ciò per cui il cuore è fatto. L’andare è in realtà un ritorno così come il restare vive di ricerca e di umana avventura. In entrambi i casi, sottolinea Luigia Iuliano, ciò che fa viva la persona è l’attesa, la disponibilità all’incontro, un’operosità che sappia stare in ascolto della realtà, di chi la vita può cambiarla realmente, la fedeltà a ciò che è stato e ancora può essere decisivo, la ricerca del proprio volto umano. Nella colonna sonora del film è la voce di Teresa Salgueiro a ricordarcelo tra i versi di “Haja o que Houver”: “Sia quel che sia / Io sono qua./ Accada ciò che accada / Ti aspetterò. / Torna col vento / Amore mio! / Torna subito / Per favore! / Quanto tempo fa… / Mi scordai, / Perché rimasi / Lontana da te. / Ogni momento / È peggiore. / Torna nel vento / Ti prego! / Io so, lo so / Cosa sei per me / Venga ciò che deve venire / Ti aspetterò”. Al termine del dibattito, Salvatore Di Fazio ha presentato il prossimo incontro del ciclo di seminari “Esodo: umanità in transizione”, nel quale attraverso fotografie, filmati e interviste con l’autore verrà presentato il libro “Exodus” del grande fotografo brasiliano Sebastião Salgado, recentemente ripubblicato dall’editore Taschen.

Reggio Calabria, 23 dicembre 2016

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