Tilde Minasi su sanità calabrese

“Mentre uno studio del sindacato Anaao-Assomed ci comunica che in Calabria (oltre a tutte le altre problematiche) per i prossimi anni, è previsto un ammanco di 1.410 medici, noi cittadini abbiamo assistito all’ennesima puntata de “Le Iene” sulla sanità da incubo della nostra regione e, soprattutto, della provincia reggina. Ciò che la maggior parte della comunità ha appurato dai servizi giornalistici è una problematica che, all’Asp di Reggio, si trascina da tempo, nonostante la serie di commissariamenti che si è succeduta e che, a fronte della buona volontà di alcuni, non è riuscita a frenare questa incontenibile emorragia di denaro pubblico la cui perdita incide pesantemente su un diritto inalienabile ed inviolabile come quello alla salute. Una tutela costituzionale che oggi in tanti, anzi troppi, vedono labile: la mancanza di contabilità, l’assenza dei bilanci, la grave questione delle fatture pagate e ripagate si traducono poi in ospedali fatiscenti, personale medico ridotto al minimo e soggetto a pesanti turnazioni, prestazioni il cui iter è complicato, lavori di professionisti non saldati con il rischio che determinate realtà vengano perse per sempre e con esse posti di lavoro. Non tocca a noi certamente essere garanti della veridicità dei servizi giornalisti, come non è compito nostro sostituirci agli organi di garanzia preposti che si spera riescano, e presto, a fare chiarezza sul caos che regna dentro l’azienda, ma un aspetto, non certo secondario, deve però essere messo in luce. Innanzitutto, va evidenziato che non tutti coloro che operano all’interno dell’Azienda Ospedaliera debbano essere accomunati ad un tale sistema, poiché vi sono dipendenti onesti, preparati, e pronti a svolgere con abnegazione il proprio dovere. Altra questione riguarda invece chi, avendo dei rapporti lavorativi con l’Asp, si ritrova oggi a resistere con fatica alle difficoltà contabili dell’Azienda, al contrario di altri che, invece, sono rimasti schiacciati dai crediti maturati e mai riscossi. La malsana, riprovevole abitudine (purtroppo avallata dalle ormai note mancanze) di chi gonfia le fatture, o di chi gioca sui numeri delle forniture, si ripercuote su coloro che lavorano ed operano onestamente, su coloro che chiedono il giusto e che, spesso, questo giusto non lo vedono corrisposto adeguatamente andando in sofferenza e dovendo decidere di licenziare, se non addirittura di chiudere definitivamente la propria attività, come accaduto a diversi ambulatori o strutture. Poi vi è chi, per esempio l’Hospice, fornisce un servizio preziosissimo ai malati terminali e si regge, con enormi disagi per la gestione e per il personale, non certo sui pagamenti puntuali da parte dell’Asp. Così mentre qualcuno si arricchisce, anche a grandi livelli, altri cercano di condurre una battaglia estenuante e faticosa. Ecco, dopo il servizio de “Le Iene”, il mio pensiero va proprio a chi si spende quotidianamente per garantire un minimo di servizi ai malati nonostante tutto ciò che è stato svelato e rilevato dal giornalista. L’auspicio, perciò, è quello che chi dovere, in primis l’attuale commissario (sebbene in questi anni i commissariamenti non abbiano, a tutti i livelli istituzionali, raggiunto gli obiettivi), compia una seria ‘operazione verità’ che si basi su un nuovo inizio fatto di regole ed ordine, sulla valorizzazione delle professionalità serie, delle attività oneste. Nelle more di un’azione necessaria, quindi, è altrettanto importante che non si ritrovino a pagare, materialmente e burocraticamente, anche coloro che sino ad oggi si sono distinti proprio per non far parte di un sistema che ha garantito i soliti furbetti”.

Tilde Minasi

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