Reato di Contraffazione, come riconoscere la Polo “Lacoste” originale da un “falso”

15\01\2012 – La Contraffazione costituisce, purtroppo, un fenomeno in forte espansione, che abbraccia tutti i settori economici; tuttavia, non è un fenomeno proprio della Civiltà moderna o contemporanea, bensì costituisce un deplorevole “retaggio” storico, appartenente alla storia dell’Umanità: uno dei falsi “storici” più importanti risale, infatti, all’antica Roma, trattasi della cd. “Donazione di Costantino”, ossia la falsificazione di un Editto emesso, appunto, dall’Imperatore Costantino, con la quale si attribuiva al Pontefice la Sovranità temporale sull”intero Impero Romano d’Occidente. Oggi, la Contraffazione si manifesta, soprattutto, nel mercato economico e, quindi, nella commercializzazione ed è, purtroppo, favorita, dalla globalizzazione dei mercati: la vendita di merce contraffatta avviene, infatti, attraverso numerosi canali di distribuzione, spesso, attraverso  mercati esterni alla distribuzione regolare, come le bancarelle o le spiagge, oppure tramite Internet ed, addirittura, anche all’interno di negozi appartenenti alla distribuzione regolare. Ad esempio, uno dei capi più commercializzati al Mondo è la famosa polo “Lacoste”, che, proprio per la sua enorme diffusione, è anche uno dei capi d’abbigliamento maggiormente contraffatti. Orbene, per l’Acquirente non è sempre facile distinguere un capo originale da uno falso, soprattutto, quando l’acquisto dello stesso avviene all’interno di un regolare esercizio commerciale, autorizzato alla vendita di quel marchio: nel caso della polo “Lacoste”, ad esempio, la dicitura “Made in Perù” o “Made in India”, anziché del classico “Fabriqué en France” o “Made in France”, non è da considerarsi come identificativo della cattiva qualità del capo, ma come un aspetto che contraddistingue il target di destinazione  dello steo, ossia acquirenti americani, asiatici o europei. Particolare attenzione va posta, invece, al logo Lacoste: un Coccodrillo “autentico” si riconosce, infatti, dalla tonalità del colore (verdone) e dalla maggior precisione nella forma e nelle cuciture nere che ne delineano la livrea e i contorni. Il Coccodrillo autentico, inoltre, è cucito sul tessuto della maglia con del filo di nylon, e non, semplicemente, incollato o stampato. Va, inoltre, posta attenzione anche all’immagine del Coccodrillo: infatti, se, ad esempio, è a bocca chiusa o con la coda puntata verso l’alto, è, senza ombra di dubbio, un “falso”. Altro dettaglio assai rilevante è la collocazione del logo, rispetto al collo della polo e all’abbottonatura: il Coccodrillo deve essere cucito (con filo di nylon) in posizione perfettamente “parallela”, e non in maniera nemmeno leggermente obliqua, e posto tra la cucitura alla fine dell’abbottonatura ed il primo bottone partendo dal basso. Invece, nei capi contraffatti, il Coccodrillo è posto, non sempre in posizione “parallela”, ed in maniera più distante e decentrata rispetto a quello presente nelle maglie autentiche, per come sopra descritto. Dal punto di vista giuridico, le norme penalistiche, volte a punire la produzione e la commercializzazione di prodotti contraffatti, sono volta a tutelare, non la libera determinazione del singolo Acquirente, ma la Pubblica Fede, intesa come affidamento della generalità dei Consumatori nella genuinità dei segni distintivi delle opere d’ingegno e dei prodotti industriali, a garanzia della particolare qualità ed originalità dei prodotti messi in circolazione nel mercato. Ai sensi dell’ art. 473 del Codice Penale, rubricato “Contraffazione, alterazione o uso di segni distintivi di opere dell’ingegno o di prodotti industriali”, è punito con la reclusione fino a 3 anni e con multa fino a €. 2.065,00 “Chiunque contraffà o altera i marchi o segni distintivi, nazionali o esteri, delle opere dell’ingegno o dei prodotti industriali, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali marchi o segni contraffatti o alterati”. Peraltro, “Alla stessa pena soggiace chi contraffà o altera brevetti, disegni o modelli industriali, nazionali o esteri, ovvero, senza essere concorso nella contraffazione o alterazione, fa uso di tali brevetti, disegni o modelli contraffatti o alterati. Le disposizioni precedenti si applicano sempre che siano state osservate le norme delle leggi interne o delle convenzioni internazionali sulla tutela della proprietà intellettuale o industriale”. Può, inoltre, integrare il reato ex art. 474 C.p., “Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi”, la condotta, consistente nell’introdurre nel territorio Italiano, ai fini della vendita o, comunque, della messa in circolazione, di opere d’ingegno o di prodotti industriali, con marchi o segni ditintivi, nazionali o esteri, contraffatti o alterati: integra tale ipotesi di reato, ad esempio, la vendita sulla spiaggia di borse portanti marchi famosi contraffatti. Invero, il delitto previsto e punito dall’art. 474 C.p., è un reato cd. “di pericolo”, per la cui configurazione non è necessaria l’avvenuta realizzazione dell’inganno nei confronti dell’Acquirente, ma basta, invece, che il bene giuridico tutelato dalla norma, ossia, nel caso di specie, la Pubblica Fede, venga solamente minacciato, e non anche necessariamente leso. Difatti, per come anche statuito dalla Suprema Corte con la Sent. n. 30672/09, in tali casi, non può parlarsi di Reato “Impossibile”, ex art. 49 co. II C.p., (che, quindi escluderebbe la punibilità), per il solo fatto che la “grossolanità” della contraffazione e le “condizioni” di vendita siano tali da escludere la possibilità che l’Acquirente venga tratto in inganno, essendo sufficiente, invece, ai fini della configurazione del reato, la semplice messa in pericolo della Pubblica Fede. Irrilenvante è anche la “mancata” vendita del prodotto contraffatto, che non integra l’ipotesi del “Tentativo” di reato, ex art 56 C.p., e, quindi, la diminuzione della pena in sede di condanna, poichè in questi casi, il Tentativo si ritiene configurabile limitatamente alla condotta di “importazione” del prodotto da un altro Paese, posto che, già, la mera detenzione del prodotto contraffatto ai fini della vendita, integra e, quindi, consuma il reato di Contraffazione. Tuttavia, l’Acquirente di merce contraffatta non è esente da sanzioni: difatti, il D.L. n. 35/05 prevede, “Salvo che il fatto costituisca un reato”, una sanzione amministrativa pecuniaria da €. 500,00 fino a €. 10.000,00 per colui che acquista o accetta il prodotto contraffatto, senza averne prima accettatala legittima provenienza. La predetta sanzione aumenta, se l’acquisto viene effettuato da un operatore commerciale o da un importatore o da qualunque altro soggetto diverso dall’acquirente finale: in tal caso, la sanzione minima è di €. 20.000,00, quella massima è di 1 milione di Euro. Inoltre, in alcuni casi, chi acquista cose di sospetta provenienza, può essere punito con l’arresto fino a 6 mesi o con ammenda, per come sancisce l’art.712 del Codice Penale, rubricato “Acquisto di cose di sospetta provenienza” che sanziona penalmente “chiunque, senza averne prima accertata la legittima provenienza, acquista o riceve a qualsiasi titolo cose, che per la loro qualità o per condizione di chi le offre o per l’entità del prezzo, si abbia motivo di sospettare che provengano da un reato”.

Avv. Antonella Rigolino

 

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