Carbone

Come avevamo preannunciato la scorsa settimana con il pezzo di presentazione di questo nuovo ciclo di appuntamenti, ci occupiamo oggi del carbone. La Prima Rivoluzione Industriale è stata caratterizzata dall’uso di questo combustibile fossile per la produzione di una nuova forma di energia: si trattava di energia meccanica, ossia la capacità di far svolgere un determinato lavoro ad una macchina. L’energia proveniva dalla macchina a vapore, inventata nella metà del ‘700 da James Watt, ed il cui funzionamento è piuttosto semplice: il carbone brucia in una fornace e riscalda l’acqua contenuta in una caldaia; con l’ebollizione, l’acqua si trasforma in vapore; facendo passare il vapore attraverso un tubicino stretto si ottiene una grande forza (anzi, più il tubicino è sottile, maggiore sarà la forza) capace di generare il movimento dei macchinari. La prima applicazione della macchina a vapore fu proprio nell’industria tessile. Negli stabilimenti inglesi la caldaia veniva disposta pressappoco al centro del capannone industriale, e da essa si dipartivano tanti tubicini per quante macchine erano presenti nell’opificio, facendole funzionare. In tal modo la produttività industriale crebbe notevolmente. Ma gli altri aspetti “rivoluzionari”, ossia gli altri radicali cambiamenti, riguardarono altri settori. A causa delle difficoltà di trasporto del carbone, e tenuto conto che all’epoca, nella metà del ‘700, l’unico mezzo di trasporto terrestre era rappresentato dai carri a trazione animale, assolutamente inadatti a svolgere questo compito, gli stabilimenti industriali venivano costruiti, nel Regno Unito prima, in Germania, in Francia ed in Belgio poi, il più vicino possibile alle miniere od ai giacimenti di carbone, per ridurre al massimo il disagio conseguente al trasporto. Nacquero, così, in Inghilterra, le “città industriali” di cui ancora oggi i migliori esempi sono rappresentati da Manchester, Liverpool, Birmingham, Leeds; in Galles, Cardiff. Le città industriali britanniche avevano la caratteristica di avere una enorme periferia di quartieri residenziali abitati dagli operai: vengono anche denominate “città dormitorio”, e determinarono in quegli anni e per tutto l’Ottocento, intensi fenomeni di urbanesimo, ossia spostamento della popolazione dalle campagne verso il centro urbano (è appena il caso di ricordare che nel Secondo Dopoguerra, con la crisi mondiale dell’industria siderurgica, queste città inglesi hanno conosciuto un processo di rapido declino urbano che si è accompagnato ad evidenti fenomeni di disagio sociale, dal momento che erano organizzate molto rigidamente per l’industria: il Trattato di Maastricht del 1992, con la riforma dei Fondi Strutturali aveva assegnato un Fondo apposito per la riqualificazione di queste città: tale Fondo oggi è divenuto il Programma URBAN, cui possono accedere tutte le amministrazioni periferiche, per la riqualificazione urbana). Importanti applicazioni ebbe l’invenzione della macchina a vapore, e dunque l’uso del carbone, nel settore dei trasporti. La macchina a vapore venne applicata alle navi, che fino a quel momento si muovevano sospinte solamente dalla forza del vento: erano, dunque, velieri, ora diventavano piroscafi, e ciò determinava un notevole impulso per l’incremento dei commerci dalle colonie. L’Ottocento, infatti, fu il secolo dell’esplorazione e della spartizione dell’Africa. Ma la grande rivoluzione fu nell’invenzione della locomotiva, che diede inizio ad una radicale svolta nei trasporti terrestri. L’Ottocento, infatti, è il secolo del treno, sia in Europa che in NordAmerica. La produzione di energia meccanica da parte della macchina a vapore alimentata dal carbone caratterizzò, quindi, tutto l’Ottocento, sia per quanto riguarda l’industria, sia per quanto riguarda i trasporti. Ma verso la fine del XIX secolo un’altra invenzione stava per determinare una nuova svolta radicale, ed intendiamo riferirci all’invenzione dell’elettricità e dei motori elettrici. E nella produzione di elettricità, il carbone ha continuato – e continua tuttora – ad essere protagonista. Ma di questo parleremo la prossima settimana.

Prof. Giuseppe Cantarella

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