Il “danno non patrimoniale” cagionato dall’inattività lavorativa

OZIO20\07\2013 – Con la Sentenza n. 16413/13 la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, ha, ancora una volta, affrontato la tematica del mobbing, riconoscendo nella predetta sentenza il danno biologico, morale ed esistenziale nei confronti del lavoratore depressosi a causa dell’inattività a cui era stato costretto dai suoi superiori. Il caso affrontato dalla Suprema Corte ha riguardato, in particolare, un dipendente che era stato privato di qualsivoglia incarico lavorativo; e tale stato di inattività “forzata” aveva comportato l’insorgere di patologie depressive, ai danni, non soltanto della sua immagine professionale, ma, altresì e soprattutto, della sua salute psicofisica.

Gli Ermellini hanno, così, avallato i due giudizi di merito e, soprattutto, hanno riconosciuto accanto al danno biologico, nello specifico del 35%, anche quello morale ed esistenziale. Ma la peculiarità della Sentenza de quo è rappresentata proprio dal riconoscimento sia del “danno morale” e sia del “danno esistenziale”, senza che tale riconoscimento disgiunto delle due fattispecie di danno possa sfociare in una sorta di “duplicazione” del risarcimento riconosciuto al lavoratore.

Invero, i Giudici di legittimità hanno espressamente specificato in sentenza che il danno morale e quello esistenziale, nel caso di specie, costituiscono aspetti distinti del “danno non patrimoniale”; in particolare, hanno sezionato il “danno non patrimoniale” patito dal lavoratore in tre aspetti differenti: il “danno biologico”, quale lesione della sua integrità psicofisica, il “danno morale”, quale sofferenza interiore temporanea da lui patita e cagionata dal fatto illecito compiuto ai suoi danni dal datore di lavoro, ed il “danno esistenziale”, cioè l’umiliazione della capacità ed attitudini lavorative con pregiudizio alla sua immagine sul luogo di lavoro. Secondo gli Ermellini, infatti, “in tema di liquidazione del danno non patrimoniale, al fine di stabilire se il risarcimento sia stato duplicato ovvero sia stato erroneamente sottostimato, rileva non il nome assegnato dal giudicante al pregiudizio lamentato dall’attore (biologico, morale, esistenziale) ma unicamente il concreto pregiudizio preso in esame dal giudice”: a parere insindacabile dei Giudici di legittimità, quindi, può ravvisarsi la cd. “duplicazione” del risarcimento del danno “solo quando il medesimo pregiudizio sia stato liquidato due volte, sebbene con l’uso di nomi diversi”.

Avv. Antonella Rigolino

banner

Recommended For You

About the Author: Redazione ilMetropolitano