La crisi economica occidentale ed il paradosso dell’Euro

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Crisi economica, spread, disoccupazione, recessione e chi più ne ha più ne metta, da un paio d’anni siamo letteralmente invasi sui quotidiani o in televisione da questi termini così freddi e sostanzialmente “difficili da digerire”. Si è calcolato che la frase “crisi economica”, su internet, nell’ultimo anno, sia stata la frase più utilizzata, in tutte le lingue europee, nei siti di informazione economico-politica, insomma siamo tutti all’erta, almeno noi dell’ “economia occidentale”, da parecchio tempo su questa benedetta “crisi”. Eppure, sembrerà strano ma, questa fortissima recessione economica rappresenta un flagello che non fa registrare alcuna controffensiva decisa da parte delle varie politiche economiche degli stati “occidentali”, anzi, sembra quasi che le stesse si concentrino sulle piccolezze piuttosto che affrontare il problema centrale in maniera seria e decisa. Probabilmente perché pochi sanno cosa fare ma certamente perché tutte le economie politiche occidentali sono cristallizzate su meccanismi così concatenati tra loro che, se si decidesse di tornare indietro o modificare la rotta intrapresa, come per gli ordini impartiti dal timoniere di un transatlantico alla propria sala macchine che riesce a virare la pesante nave in molto tempo e con enormi sforzi, così gli effetti di tali scelte politiche sono pesantemente ritardati nel tempo. Le nostre economie, specie quelle europee, sono mosse da pachidermici sistemi ai quali difficilmente si può fare fronte una volta intrapreso un particolare percorso. Ad aggravare il tutto occorre annoverare, da un lato le strutturali quanto innate difficoltà decisionali delle politiche di stati come la Spagna, la Grecia, il Portogallo, e su tutte la nostra Italia, e dall’altro lato la discutibile quanto imbarazzante politica economica estera statunitense, nel suo ruolo storico di “poliziotto” del mondo, con un Barack Obama che avrà fatto certamente bene in parecchi settori, magari meglio di molti suoi predecessori, ma che certamente ha contribuito, e non poco, alla folle espansione delle difficoltà economiche occidentali. Da sempre, infatti, economie e scelte politiche sono tra loro indissolubilmente legate, le prime sono sempre figlie/vittime delle seconde e mai il contrario. Il presidente americano attuale ha perorato e tentato di risolvere, ma con risultati a dir poco sconcertanti, tutte le “calde” situazioni politiche estere mediterraneo e del medio oriente. Tutti questi contesti, dalla Libia alla Tunisia, dall’Egitto alla Siria, rappresentano una vera e propria sconfitta che, naturalmente, si è ripercossa sulle politiche dell’Unione Europea. Tutto ciò ha contribuito, e non poco, ad aumentare l’alta tensione del medio oriente con una Arabia Saudita sempre più unico baluardo statunitense (ma ancora per quanto?) creando delle “bombe ad orologeria” che a poco a poco stanno esplodendo o lo faranno nel breve periodo. Se si pensa alle stravaganti scelte statunitensi nelle “questione Siria”, nel quale paese si sta consumando uno dei genocidi più grandi nel dopoguerra, o se si pensa alla politica estera con l’Egitto dove, dopo vari colpi ad effetto, gli USA non solo hanno perso il più grande e forte baluardo della democrazia sul mediterraneo ma lo hanno “ceduto” ai “nemici sovietici “ai quali non é sembrato vero di poter avere la “porta D’oriente nel mediterraneo” a disposizione loro e delle loro armi. Queste scelte, sempre poco oculate, tra le mille cose, non hanno fatto altro che alimentare le carovane di disperati che tentano la fuga in occidente. Per assurdo, le sempre maggiori “invasioni” dei disgraziati del mare che invadono le coste siciliane e calabresi, sono solo la parte più visibile di un problema molto più ampio che, come detto, tocca sensibilmente la nostra economia e l’economia già in difficoltà di un’Europa sempre più “aggredita” dalle nuove economie emergenti (Cina ed India su tutte seguite a ruota dal Brasile) e dalle problematiche di polita estera del mediterraneo sopra accennate. In questo “caos”, la recente nascita della Unione Europea, con una propria moneta diffusa e condivisa in tutto il continente, avrebbe certamente potuto aiutare gli stessi paesi membri ad affrontare uniti e coesi il particolare momento socio-economico che la nostra storia sta affrontando, eppure così non è. Anzi è proprio l’Euro, l’emblema di questa unione di popoli che la storia ha sempre visto divisi, il vero paradosso di questa coesione che manca alla c.d. <<Europa unita>>. Proprio l’Euro rappresenta l’esempio principe, l’emblema di queste pachidermiche decisioni di politica economica europea intraprese negli anni. Scelte che certamente si sono avviate con obiettivi rispettabilissimi e onorevoli ma che poi, in corsa, non solo non riescono a fortificare il “vecchio continente” ma rischiano, con le loro pesantezze strutturali, di far naufragare l’intero progetto di Unione Europea. Proprio la moneta europea, conio di questa “apparente” Unione, creata con lo scopo di fronteggiare tutti assieme, le economie asiatiche e le culture lontane dalla nostra “democratica civilizzazione”, moneta unica scelta per fare della vecchia Europa, madre di tutte le civiltà moderne, un colosso economico al pari degli Stati Uniti d’America, proprio questa giovane moneta, appena nata pare che abbia già le ore (o gli anni) contati.. Quale fattore ha permesso questo “trasbordo” tra le monete storiche europee e questo nuovo conio? Certo, le motivazioni e le basi storiche sulla quale si è fondata l’idea di una unica mega-nazione erano più che apprezzabili, l’euro rappresenta uno dei più grandi passaggi economici della nostra era le cui profonde radici risalgono alla creazione della CECA (Comunità europea del carbone e dell’acciaio), concretizzatasi con il Trattato di Parigi del 18 aprile 1951. All’inizio vi erano i sei paesi fondatori (Belgio, Francia, Italia, Lussemburgo, Olanda, Repubblica Federale Tedesca) che intendevano anzitutto garantire la pace fra i vincitori e i vinti della Seconda guerra mondiale affidando il potere di prendere decisioni riguardanti l’industria del carbone e dell’acciaio ad un organismo indipendente e sopranazionale denominato “Alta Autorità”, gli stessi paesi che il 1° gennaio 1958, istituirono e disciplinarono, la vera antenata dell’attuale UE, ovvero la Comunità Economica Europea (CEE) i cui obiettivi sono descritti nell’art. 2 del trattato: “La Comunità ha il compito di promuovere, mediante l’instaurazione di un mercato comune e il graduale ravvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri, uno sviluppo armonioso delle attività economiche nell’insieme della Comunità, un’espansione continua ed equilibrata, una stabilità accresciuta, un miglioramento sempre più rapido del tenore di vita, e più strette relazioni tra gli Stati che ad essa partecipano”. Quella Comunità di stati che con il Trattato sull’Unione europea, firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992, ha cambiato la denominazione della Comunità economica europea in “Comunità europea” che ha inoltre introdotto nuove forme di cooperazione tra i governi degli Stati membri, ad esempio nel settore della difesa e in quello della “giustizia e affari interni”. Aggiungendo questa cooperazione intergovernativa al sistema già esistente della “Comunità”, il trattato di Maastricht ha così creato una nuova struttura a tre “pilastri”, che è sia politica sia economica: si tratta dell’attuale Unione europea (UE).

I tre pilastri sui quali si fonda sono:

•la creazione di una moneta unica, l’EURO

•la realizzazione della cittadinanza europea

•che l’UE fosse stata l’interlocutore in tutte le relazioni esterne per la difesa e la sicurezza comune.

ECONOMIAMa qui, proprio alla nascita dell’attuale UE, s’interrompono i buoni propositi di una comunità di stati, infatti, quando si cominciò a trattare assieme delle singole politiche di ognuno degli stati membri e quando entrarono in gioco meccanismi che non sono più di cooperazione ma di sviluppo di interessi degli uni rispetto agli altri, l’Europa forte e fiera cominciò a registrare i primi scricchiolamenti. Le arcaiche divergenze culturali e la profonda e innata diversità sociale ed economica di ogni singolo stato cominciarono a farsi strada. Proprio qui, nel lontano 1992 iniziò il bluff dell’Euro. L’euro di per se, come detto, rappresenta quanto di meglio si poteva ideare per curare ed alimentare l’economia europea nei confronti sia delle classiche mega economie anglo-sassoni che verso le nuove economie indiane e cinesi ma, la metodologia utilizzata, i tempi e le scelte effettuate dai nostri politici comunitari, l’hanno resa un barcone con una falla così enorme che a poco a poco sta affondando tutto il sistema. L’Europa che non ha (e non avrà mai, almeno nel breve) una identità comune, che non ha una sola cultura uguale all’altra, che ha una pluralità di lingue, di modi e di usi, anche a livello giuridico o legislativo, avrebbe auspicato alla costruzione di una sorte di “torre di Babele” prima di far convivere tali diversità sotto una stessa bandiera. La moneta unica avrebbe dovuto rappresentare il tassello finale, l’ultimo piano di questa torre che, forse, doveva attendere tempi lontani e più maturi per il suo completamento. L’aver scelto, ad esempio per l’Italia, un valore in lire così elevato per l’Euro (nei primi tempi si era accertato che l’euro per l’Italia non avrebbe dovuto superare le 1.500 lire) ha prodotto una serie di alterazioni tra le varie parti del territorio europeo le cui manifestazioni sono ancora vive in Italia dopo oltre un decennio. Ma mentre alcune anomalie, con gli anni e i decenni possono aggiustarsi con le leggi del mercato libero, altre, create da questa immensa forzatura, di immettere cioè una moneta unica in uno “stato” le cui “province” erano ancora e lo saranno chissà per quanto tempo ancora, profondamente diverse, saranno impossibili da superare nel breve periodo. L’ esempio che più di ogni altro rappresenta la situazione paradossale di una pseudo-Europa unita è dato dall’IVA, l’imposta sul valore aggiunto che tanto colpisce in prima persona i singoli cittadini. Si perché per l’IVA, già nella VI Direttiva CEE del 1977, venivano scritte le OVVIE necessità di una comunità europea di avere l’imposta indiretta più importante, uguale per tutti. Ma solo dopo l’introduzione della moneta unica, con la direttiva europea 2006/112/EU, si ritornò a perseguire lo scopo di rendere uniforme l’imposizione indiretta in tutta l’Unione europea e si stabilisce che gli Stati membri devono fissare l’aliquota dell’IVA in misura pari almeno al 15%. Ad oggi l’aliquota più alta, fissata dall’Ungheria, è pari al 27%, in Italia è al 22%. Economia PoliticaLe differenti tassazioni IVA applicate dimostrano come questa variabile sia saldamente nelle mani dei governi statali, nonostante l’Unione Europea abbia cercato di promuovere già come detto, dal 1985 una razionalizzazione (un’aliquota ordinaria non inferiore al 15% e non superiore al 25%, e una ridotta, per alcune operazioni, purché non inferiore al 5%), in previsione dell’adozione di una unica aliquota IVA “federale” cui il legislatore europeo non ha mai rinunciato ma alla quale ha demandato a chissà quali generazioni future. L’obiettivo delle politiche comunitarie in materia di IVA era evitare gli effetti distorsivi della concorrenza nel commercio intracomunitario che le differenziazioni avrebbero potuto generare, per effetto del fatto che, a parità di imponibile, l’aliquota incide sul prezzo al consumo del bene. Ma facciamo un passo indietro, stiamo parlando di moneta, dell’Euro inteso come “conio” obbligandoci a fare un’importante distinzione tra il concetto di denaro e quello di moneta. Il denaro è il circolante accettato del mercato, ossia da tutti, in un distinto periodo storico. Persino I gettoni telefonici degli anni ottanta o i miniassegni degli anni settanta e addirittura le caramelle date di resto al bar, sono un esempio di denaro. La moneta, invece è il circolante emesso dallo Stato, da un Governo di un determinato territorio, in un distinto periodo storico. Ecco che il cerchio si chiude: in un unico territorio (Europa – stati UE), in un determinato periodo storico (a partire dal 2001), uno Stato (la UE) emette un “circolante” per la propria popolazione (Cittadini europei) e all’estero (tutti gli stati extra-UE) quel determinato conio assumerà un valore oscillante secondo il potere economico esistente tra i vari stati aventi moneta differente. Per cui l’Euro dovrebbe essere una moneta che rappresenta l’unità territoriale in se. Principio insito in ogni “moneta” ma che, nella nostra Europa, non solo non è valido ma la stessa introduzione di una moneta senza aver “livellato” le economie dei singoli stati ha prodotto delle vere e proprie alterazioni economico-finaziarie a cui accennavamo prima, rendendo disomogeneo ancora di più il territorio europeo. Così mentre il pane in Italia avrà una tassazione iva (4%) doppia di quello francese, l’italiano si potrà gongolare del fatto che i cittadini dell’ Ungheria per comprare un TV o uno smartphone dovranno sborsare 5 punti percentuali in più (iva al 27%) , gli stessi sventurati ungheresi, a loro volta, arriveranno a pagare un’autovettura addirittura 9 punti percentuali in più degli spagnoli (18%), per arrivare al paradosso di ben 12 punti percentuali in più dei “colleghi” del Luxemburgo che col 15% detiene il primato dell’aliquota Iva più bassa in Europa. Questo, ovviamente non incide tanto nei macro-movimenti economici perché i maggiori “colpiti” dall’iva sono i singoli cittadini che, pazienza se si trovano in Ungheria o in Italia, sapere che in Luxemburgo l’iphone costa anche 100 euro in meno può solo fare sospirare, ma le grandi multinazionali, i grandi marchi ovviamente non sospirano proprio e individuano in questi micro-paradisi fiscali una serie di vantaggi “legalizzati” che sono molto di più di un semplice paradosso. Ovviamente l’iva non è che solo la più evidente di queste deformazioni create da un’unità monetaria che doveva essere la ciliegina di una Unione vera e propria e non il primo atto di mille altri ancora da divenire. Si pensi al costo del lavoro in Polonia. Chi ha un negozio, una fabbrichetta, difficilmente potrà sfruttare questa occasione ma se sei un social network a diffusione planetaria o costruisci pneumatici per la maggior parte delle auto del mondo, è ovvio che i tuoi uffici europei saranno dislocati in Polonia o nell’Eire… Nel 2010 un dipendente in Polonia, a tempo pieno, nel settore “industria” costava al proprio datore di lavoro 2/3 di meno di un “pari livello”italiano; un dipendente austriaco, sempre dello stesso livello, arrivava a “pesare” come costo ad una qualunque industria, circa 8 volte il peso che lo stesso operaio avrebbe se fosse stato dipendente di un’industria con sede in Romania. Abbiamo auspicato ad una mega potenza ma uno stato di cotal portata dove i propri cittadini, a seconda se nascono al nord o al sud, o all’est o all’ovest, hanno per legge diversi diritti e doveri dal punto di visto di economico-politico e monetario, che solidità può manifestare all’esterno? Diciamo che l’Europa, la grande e colossale Europa, per la prima volta nella sua storia si è costruita un governo economico all”Italiana”…dove i tedeschi (la storia si ripete) prima ci copiano e poi cercano di dettare legge a tutti…. dove l’Inghilterra si è tirata fuori da subito individuando altrove i suoi alleati economici…., dove il legislatore fiscale non ha ancora potuto decidere la lingua europea ufficiale tra l’inglese e il francese, per non fare torto ai francofoni che ospitano le tre sedi del parlamento europeo (Strasburgo, Luxemburgo e Bruxelles), ma dove (guarda caso) si è deciso da subito di dotarsi di una moneta unica… Eppure qualcuno aveva già intuito tutto: gli inglesi. Loro che si considerano, dopo gli egizi e i romani, i padroni della cultura occidentale, loro che hanno conquistato e dominato il mondo, loro che hanno dettato legge in ogni angolo del pianeta, loro forse sapevano già tutto…. ecco perché a Londra si continua a comprare in sterline esattamente come avviene da oltre sei secoli a questa parte e dove, se vuoi sfruttare le (ottime) opportunità fiscali, devi scendere a patti con Elizabeth Alexandra Mary II Regina del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord e non con la semplice “cancelliera” Angela Merkel….!!!

Fabrizio Condemi

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