14 luglio 1970: La rivolta di Reggio

moti3di Katia Germanò – Sono 44 gli anni trascorsi dal 14 luglio del 1970, quando Reggio Calabria divenne un campo di battaglia sul quale ebbe luogo una vera e propria guerra, con 5 morti, duemila feriti, oltre 800 arresti e danni per miliardi di lire dell’epoca. La “Rivolta di Reggio”  che nacque dalla rivendicazione del capoluogo di Regione – il governo di Roma aveva deciso di assegnarlo a Catanzaro –  aveva anche un risvolto economico e politico per una città che fino a quel momento era stata trascurata durante lo sviluppo degli anni del boom e che correva il rischio di perdere anche l’opportunità di essere il capoluogo della Regione. In cifre, significava per la nostra città, anche di qualche migliaio di nuovi posti di lavoro pubblici, apertura di sedi e uffici per gli assessorati, indotto amministrativo e commerciale e il giusto prestigio portato da tale nomina. Il 14 luglio del 1970 i reggini insorsero – rompendo il legame che li univa ai maggiori partiti e ai sindacati, scegliendo nuove forme di rappresentanza – e fu una rivolta di popolo, scesero in piazza sia rivoluzionari che ragazzi e vecchi, i giovani di allora ricordano ancora le anziane vestite di nero e le massaie fra le barricate, fianco a fianco studenti e lavoratori, magari appartenenti a fazioni politiche opposte, ma tutti accomunati dall’orgoglio di essere reggino. L’assedio durò 7 mesi, durante i quali accadde di tutto: si registrarono scontri violenti con le forze dell’ordine, fu assaltata e incendiata la questura con dentro centinaia di agenti, un’autocolonna di militari fu attaccata da due commandos con le molotov lungo l’autostrada, attentati dinamitardi alle linee ferroviarie ed, infine, dovettero intervenire i carri armati per sgombrare le barricate. Reggio Calabria fu devastata. I partiti di governo (Dc, Psi e Pri) e il Pci etichettarono la rivolta come fascista, Cgil, Cisl e Uil si schierarono contro gli scioperi e la tv di stato per giorni non riferì della protesta. Ma la rivolta proseguì al grido di “boia chi molla”, partiti e sindacati furono messi da parte dai loro stessi militanti e lo sciopero generale a oltranza fu proclamato da un improvvisato “comitato d’azione”.Moti1 Il Comitato d’azione per Reggio capoluogo, nato il 22 luglio 1970 –  i cui principali esponenti erano Ciccio Franco, l’ex comandante partigiano Alfredo Perna, Rocco Zoccali, Rosario Cassone, Franco Arillotta, Giuseppe Avarna (poeta) duca di Gualtieri e il consigliere provinciale del MSI Fortunato Aloi – fu il vero motore organizzativo e politico della protesta popolare. Il 30 luglio seimila persone in Piazza Italia ascoltarono gli esponenti del Comitato: Questa è la nostra rivolta, il primo passo della rivoluzione nazionale” le parole di Ciccio Franco. Il 17 settembre 1970 Ciccio Franco e l’ex comandante partigiano Alfredo Perna furono arrestati con l’accusa di “istigazione a delinquere e apologia di reato” e condannati ma furono tutti rimessi in libertà provvisoria il 23 dicembre dello stesso anno. Nuovamente ricercato dalla polizia Ciccio Franco nel febbraio 1971 fu per breve tempo latitante. In questo periodo, nel suo rifugio segreto fu raggiunto e intervistato da Oriana Fallaci, alla quale spiegò dal suo punto di vista la nascita dei moti a Reggio: Specie nei quartieri popolari v’erano tanti ragazzi che ritenevano che Reggio potesse esser difesa dai partiti della sinistra o di centro-sinistra. E, dopo la posizione assunta dai partiti di sinistra e di centro-sinistra contro Reggio, questi ragazzi hanno ritenuto di dover rivedere la loro posizione anche politicamente. Molti, oggi, fanno i fascisti semplicemente perché ritengono che la battaglia di Reggio sia interpretata in modo fedele solo dai fascisti”.  Nel febbraio 1971 il governo di Emilio Colombo, per porre fine a questa scomoda rivolta, assegna Capoluogo e Giunta a Catanzaro, Consiglio Regionale a Reggio; Università a Cosenza. Per quietare la rabbia reggina fu promesso di costruire un centro siderurgico a Gioia Tauro (50 km da Reggio) e uno stabilimento Liquichimica a Saline (alle porte di Reggio) per 10mila nuovi posti di lavoro. Il governo vinse così la battaglia.Moti2 La promessa di così tanti posti di lavoro non poteva essere ignorata. Non era ciò per cui i reggini si erano battuti, la città ne usciva sconfitta, ma con onore. Purtroppo il grande inganno non ha tardato a palesarsi: nella Piana di Gioia vennero distrutti 1400 ettari di agrumeti per far posto al centro siderurgico, che però non fu mai costruito, e la Liquichimica, l’unica opera portata a termine, non entrò mai in funzione. I posti di lavoro promessi non ci sono mai stati. La rivolta di Reggio è stata l’ultima rivolta del Sud, l’ultima ribellione popolare e populista contro lo Stato, ed è stata l’ultima rivolta di popolo capeggiata dalla destra, una destra rivoluzionaria, nazionalpopolare e sindacalista che agiva ai bordi dell’Msi, della Cisnal e lambiva in modo trasversale le altre forze politiche. Dopo questa rivolta il Sud ha smesso di ribellarsi a livello popolare, ha preferito nascondersi nei propri comodi – nel clientelismo e nel malgoverno – e consegnarsi in alcune zone alla malavita organizzata. Quel “Boia chi molla” è stato l’ultimo grido del Sud prima di precipitare nell’abisso dal quale non è più riuscito a venir fuori.

 

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