Uomini, se li conosci puoi amarli, di Stefano Gastaldi

LibroL’universo maschile è il centro della riflessione particolarmente illuminante e divulgativa del libro di Stefano Gastaldi. Il libro mi è stato assai caro per tre principali motivi:

1)      un primo profilo di conoscenza della psiche maschile, di scoperta di verità in parte inconfessabili, in parte solo a tratti percepite;

2)      un secondo profilo di  allargamento della visuale;

3)      un terzo profilo è rintracciabile nel dato esperienziale e professionale acquisito nel corso di anni di attività.

E’ quanto mai vero che gli uomini sono abituati a nascondere la loro affettività, sono restii ad esprimere i propri sentimenti, specie se questi sono dolorosi, teneri, fragili. Storicamente gli uomini sono anche responsabili di molti guai e diseguaglianze: il dominio sociale ed economico maschile è tuttora persistente, ed è concettualmente incompatibile con sentimenti come tenerezza, comprensione, empatia. Ciò storicamente ha portato con sé una svalutazione delle componenti dell’affettività maschile. La centralità sulla scena dei sentimenti dell’universo femminile ha oscurato i timidi segnali di una progressiva affrancazione del maschio dagli stereotipi dell’autorità, della potenza, della conquista. In questo modo l’evoluzione interiore socio-culturale del maschio è rimasta per lo più sotterranea, guardinga, difensiva, ermetica. Se la donna postmoderna è “multitasking”, l’uomo è in grado di reggere questa sfida?

L’orgoglio maschile.

Una società ed una cultura che storicamente pone al centro delle attenzioni del genere maschile la competizione sportiva, il successo nelle attività di lavoro e la conquista di posizioni di preminenza sociale (= io sono quel che valgo), rende particolarmente complicata una riflessione interiore. Per alcuni la possibilità di aprirsi, se avviene all’interno di un gruppo al maschile, rende più agevole l’iniziazione. Si possono immaginare corsi per uomini che non riescono ad esprimere i propri bisogni? Ed essi avrebbero il coraggio di ammettere questo loro lato debole? Il tono maschile, lo stile maschile parla di potenza, di autorità, di capacità di orientamento. Nella nostra cultura affettiva onfalocentrica, centrata sull’ombelico, ossia abitata per lo più da valori o idee femminili e materne, fa fatica ad affermarsi un’idea di affettività al maschile. Resistenze o  blocchi culturali di genere. Queste differenze di genere hanno portato ad una dominanza della donna nella sfera dell’affettività e dell’accudimento dei figli. Le resistenze culturali si possono leggere nelle crisi familiari, dove circa l’85% dei casi vede il prevalere della funzione materna su quella paterna.

In ambito giudiziario (breve digressione dovuta alla professione del recensore).

La legge 54/2006 avrebbe dovuto rivoluzionare la concezione sino ad allora dominante, ma nella concreta attuazione è stata in gran parte tradita, come denuncia da tempo il suo promotore, il Prof. Marino Maglietta. L’affido esclusivo ha cambiato semplicemente nome ed è diventato collocamento prevalente. Non si è avuto il coraggio, soprattutto da parte di larga parte dei giudici, di investire nei ruoli maschili, di metterli alla prova, ed è stato viceversa più agevole ricondurre la soluzione ad una ripartizione tradizionale di ruoli (non così lontana dalla cultura islamica che ci fa tanto inorridire). Così però si perpetua una condizione che vede nel padre il “datore di sostanze”, mentre il prevalente “datore di cure” resta la madre. Anche nei casi altamente conflittuali e problematici (alienazione parentale e capacità genitoriale) è spesso la donna a costituire l’elemento condizionante, perversamente  influente, la patologia del rapporto. Nelle crisi familiari o tra conviventi (è anacronistico ormai parlare di crisi meramente coniugali, dato l’incessante avanzare del più vasto ambito delle famiglie ricostituite, multietniche, omogenitoriali) al potere giudiziario è dato un notevole ambito di intervento: dalla regolamentazione e ripartizione dei ruoli, alla definizione del disaccordo, alla decisione in ordine alla decadenza della potestà (oggi responsabilità) genitoriale, alla mediazione dei contrasti nell’esercizio della potestà (art. 316 c.c.). Un apparato normativo come questo fa sì che le persone con difficoltà relazionali percepiscano il sistema giuridico come altamente strutturato, che può fornire un’adeguata via d’uscita ai loro problemi. Tuttavia l’ambito giudiziario è per lo più privo degli strumenti d’intervento adatti o auspicabili. Rispetto alle altre figure professionali delegate ad affrontare e mediare i conflitti familiari, quella dell’avvocato assume una posizione senza dubbio assiale e privilegiata nella correzione di indirizzo, nella regolazione del conflitto stesso, potendolo tanto esacerbare quanto attenuare. L’operatore giuridico, quale mediatore del conflitto, deve assumere un ruolo nuovo e deve soprattutto caratterizzarsi per la sua spiccata sensibilità, attenzione e comprensione relativamente agli aspetti psico-sociali delle problematiche familiari e all’impatto emotivo sperimentato dalle persone e sempre sotteso a simili esperienze. Nonostante la complessa articolazione giuridico-legale messa a disposizione di quanti  intraprendono la via della disgregazione familiare, la nostra società non fornisce loro possibilità di assistenza e di aiuto per fronteggiarne le conseguenze, e questo in stridente contrasto con le esigenze di prevenzione. Se la separazione senza colpa costituisce senza dubbio un importante passo avanti, non si può però affermare che ciò abbia di fatto attenuato la tipica natura antagonista e conflittuale del sistema giuridico: il concetto ancora di addebitabilità della separazione e i criteri valutativi adottati dai giudici per determinare sia l’affido dei figli, sia le questioni patrimoniali in generale (l’assegno ha tuttora natura indennitaria, risarcitoria e non solo assistenziale), fanno sì che le persone percepiscano ogni aspetto del procedimento secondo una logica accusatoria e sanzionatoria. L’escalation competitiva viene così esacerbata e vengono alimentati profondi sentimenti di ostilità. Gli avvocati, a causa della loro formazione professionale, difficilmente sono in grado di far fronte alle ripercussioni psicologiche causate agli altri membri della famiglia, piuttosto mirano a far guadagnare al cliente quanto è più possibile e non di rado le tattiche manipolative da essi utilizzate svolgono altresì un deleterio effetto sull’equilibrio psichico dello stesso cliente. Ulteriore elemento degno di nota è dato dal singolare carattere stressante dell’attività professionale esercitata dall’esperto in diritto familiare: il tipo di questioni affrontate, la prassi legale competitiva, le complicazioni dovute ai problemi emotivi dei clienti, la scarsa collaborazione con i colleghi, sono tutti fattori che determinano una continua tensione psicologica.

Lo stile cavalleresco.

Tra i tanti caratteri maschili positivi c’è quello cavalleresco, la competizione leale che implica il completo rispetto delle regole come obiettivo assoluto, più ancora della vittoria, la bellezza della sfida, della competizione più che del sovrastare l’avversario. Nell’educazione psicologica ed emotiva maschile mi piace pensare che i padri sappiano trasmettere ai figli le regole del fair play. Questo sapere antico insegna ad accettare la sconfitta. Un sconfitta che lascia il segno, la cicatrice, ma non il trauma. L’addestramento a questo tipo di competizioni convoglia le energie aggressive in un alveo creativo e vitale. C’è però nella nostra società un altro tipo di cultura: quella del successo ad ogni costo, con ogni mezzo, anche se sleale, attraverso furbizia e prevaricazione. Gli uomini onesti, ovvero i veri uomini, evitano l’utilizzo di strumenti di competizione fuori dalle regole. Essi adottano un codice etico, virile e cavalleresco, perché hanno la necessità di avere di sé un’idea alta, anche a costo di rinunciare a qualche ambizione e opportunità. La capacità di rinuncia, non alla competizione e all’impegno, bensì al risultato, quando questo non può essere raggiunto se non con l’uso di mezzi sleali ed illeciti, è una regola scritta nella matrice virile ben formata.

La teoria del padre assente.

Si sono registrate dai ricercatori le conseguenze della riorganizzazione nella struttura familiare dovute all’assenza della figura del padre. Il disadattamento sociale, il comportamento delinquenziale antisociale andrebbe interpretato come l’effetto di un anomalo sviluppo del super-io (istanza psichica atta a tenere a freno gli istinti, tramite meccanismi di autocontrollo), ciò che dipenderebbe dall’assenza della figura paterna, vale a dire dall’assenza di un agente di disciplina e di controllo. Questi ricercatori ritenevano che la figura paterna fosse un modello indispensabile per il figlio, senza la quale difficilmente questi avrebbe potuto apprendere (tramite processi di identificazione) corretti comportamenti di ruolo sessuali, mentre probabilmente avrebbe assunto stili dai “tratti femminei” (se maschio) o condotte sessuali non equilibrate (se femmina). Queste argomentazioni tuttavia non superarono il vaglio critico degli studi successivi, i quali non trovarono alcuna ragione per ritenere che tale compito avrebbe dovuto essere esercitato dal padre; al contrario essi notarono come qualsiasi altro adulto (la madre o anche la nonna) poteva riuscire con successo nell’espletamento di tale funzione educativa. Il libro di Gastaldi è un concentrato di saggezza, tratta dall’analisi diretta dei singoli casi, la quale permette poi l’elaborazione di una più ampia e generale teoria sull’evoluzione dell’abito mentale maschile, particolarmente felice perché consente di leggere in tralice l’appassionato lavoro del ricercatore.

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