Obama striglia il capitalismo americano

Il presidente americano Barack Obama, nel suo discorso agli industriali del paese a stelle e strisce, sferza come non mai la classe industriale americana, scagliandosi contro il modello capitalistico senza regole, puntando il dito contro la delocalizzazione che, a suo parere, è la causa del declino dei patti sociali e il declino della middle classe americana. Obama poi ha continuato nel suo discorso, spostato molto a “sinistra” (per i gusti americani), denunciando il ritorno dei super bonus ai banchieri, ma rimanendo sempre nei toni pacati e mai accusatori. Insomma a dire il vero il Presidente ha usato il guanto di velluto e il pugno di ferro, per cercare di ricucire lo strappo creatosi con il suo elettorato e con il paese stesso. Il discorso era incentrato primariamente sullo stimolo a tutti gli investitori del paese a mettersi nuovamente in gioco, investendo capitali importanti, per fare ripartire l’economia del gigante americano. Prosegue Obama: «Se ci sono ragioni che v’impediscono di tornare ad assumere, le voglio conoscere, le voglio affrontare. Vincere il futuro non dipende solo da quel che il governo può fare per aiutarvi, ma da quello che voi potete fare per aiutare l’America». Toni concilianti come detto, ma anche molto severi sulle sorti del paese per un futuro prossimo, ma anche lontano. Anche il luogo del discorso è un luogo “cruciale” per i destini degli Usa e del Presidente stesso. Si tratta della sede della U. S. Chamber of Commerce, un’organizzazione simile alla nostra Confindustria, risolutamente schierata contro l’Amministrazione Obama nel suo primo biennio. Sono molteplici le campagne pubblicitarie di questa lobby contro l’Obama pensiero, lo slogan era: «Due milioni di disoccupati in più», quando entrò in vigore il progetto di limitare le emissioni di CO2, accusandolo di aumentare i costi per le imprese. Idem per la nuova sanità e per la riforma delle regole della finanza. E nelle elezioni di mid-term, con un contributo di 50 milioni di dollari tutti destinati ai candidati repubblicani, questa lobby ha dato una bella spinta per la sconfitta di Obama. Il presidente poi ha proseguito nel suo discorso aggiungendo: «È profittevole delocalizzare in Cina, India e Brasile ma, se queste tendenze inesorabili si combinano con una recessione brutale e devastante, viene scossa la fiducia del popolo americano. I cittadini vedono un divario sempre più largo di ricchezze e di opportunità, si chiedono se l’American Dream stia scivolando via». Tuttavia per Obama la globalizzazione è un processo inesorabile, quello che proprio non accetta è un capitalismo autoreferenziale che pretende di fissarsi le proprie regole e, come valore assoluto, solamente i profitti. Per il presidente: «Le imprese hanno anche una responsabilità verso l’America. Ci furono battaglie contro le leggi sul lavoro minorile. Contro le cinture di sicurezza sulle automobili. Le compagnie farmaceutiche, quando fu creata l’authority della Food and Drugs Administration, sostennero che avrebbe ucciso l’industria dei medicinali. Non è andata proprio così. Le regole fanno bene anche a voi, come imprenditori e come cittadini». Tornando sull’arroganza dei banchieri che tornano a erogarsi superstipendi come prima della crisi, Obama cita la metafora usata da John Kennedy «sull’alta marea che alza tutti i battelli»: un’immagine della crescita economica che può distribuire benefici ad ogni categoria sociale. «Oggi troppi battelli sono rimasti indietro, impantanati nel fango».

Salvatore Borruto

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