USA: dilaga la protesta degli indignados

Non conosce limiti la protesta dei giovani americani, che sull’onda del movimento spagnolo degli indignados sta letteralmente occupando i centri di potere americani. Proteste, slogan, occupazioni, si prospetta un vero e proprio autunno caldo non solo made in Usa, ma in tutto l’occidente viste le condizioni in cui versano la maggior parte dei giovani e meno giovani. Tornando al paese a stelle e strisce, dopo l’assedio a Wall Street e l’occupazione del ponte di Brooklyn, manifestazioni e cortei all’insegna della satira sono già partiti in molte altre metropoli degli Stati Uniti, da Boston a Chicago a Los Angeles. Mentre indignados gli attivisti non mollano il presidio centinaia di persone hanno preso di mira il City Hall di Los Angeles, la sede della Fed di Chicago e il Financial District di Boston.

Proteste di questo tipo riportano la memoria al ’68, e alle proteste contro la guerra del Vietnam, paralleli e nostalgia di un’epoca che poi, nel nostro paese portò ai tristi e bui anni di piombo. Dunque molto probabilmente come ha già accennato qualche noto analista, dopo la primavera araba arriverà l’autunno caldo americano. Ad appoggiare questa tesi anche Van Jones, figura di spicco della sinistra americana: «State ben legati alla vostre sedie, a ottobre arriva un punto di svolta. I progressisti torneranno alla carica. C’è una generazione di americani che si stanno guardando attorno e si dicono: Che significa per me il sogno americano? Così hanno cominciato a muoversi, per avere indietro il loro futuro e salvare la middle class di questo Paese».

Ad appoggiare il movimento dei giovani americani contro il potere anche George Soros, multimiliardario: «Capisco il loro sentimento. Il clima della protesta è stata la difficile situazione dei piccoli imprenditori, che hanno visto i costi delle carte di credito salire dall’8% al 28% dopo la crisi del 2008. E dato che contavano su tale credito per gestire le loro attività, un sacco di loro sono stati messi fuori mercato». Si prospettano tempi duri per tutte le democrazie mature del vecchio continente. Paesi ormai in un’era post-industriale, che non riescono a trovare una via d’uscita per garantire uno sviluppo alle generazioni del presente, e soprattutto a quelle del futuro. Non resta che sperare in una rivoluzione culturale, politica e in parole povere generale, che scardini i vecchi dogmi dell’economia, per creare una società più equa per tutti.

Salvatore Borruto

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