Indignados si, ma fino a che punto?

Il movimento degli “indignados”, nato in Spagna qualche mese fa, sta ormai assumendo i caratteri e le dimensioni di un fenomeno mondiale. In qualunque paese dove si è manifestato, i giovani chiedono un futuro differente alla classe dirigente che sembra incartata su se stessa. Troppo tempo sprecato in chiacchiere inutili, invece di prendere iniziative per gettare le basi di un nuovo welfare, di uno stato sociale diverso, di nuovi mercati ed economie: un nuovo modello di sviluppo in parole povere.

Purtroppo dopo la manifestazione italiana di sabato scorso, alla ribalta sono tornati i soliti teppisti organizzati, che hanno ferito mortalmente il movimento, ancor prima che si mettesse in moto. Distruzione, saccheggi e quant’altro hanno tenuto in ostaggio la Capitale, oscurando totalmente i principi della fiumana di persone che si snodava per Roma. Oltre 500.000 persone (per la Questura saranno state 5.000, qualcuno ci dovrà spiegare come oscillino così tanto questi numeri) che sono state letteralmente violentate da un centinaio di persone, che stanno fuori dal movimento a priori, ma che purtroppo si sono presi la scena. A scanso di equivoci, diciamo con forza che la violenza non fa parte della democrazia, anzi è sempre deplorevole.

Analizzando a fondo il movimento, ci sono parecchie analogie con i vecchi movimenti degli anni 70. Entrambi le generazioni stanno vivendo un periodo buio, di crisi e senza prospettive. Una cosa però è differente: la cultura e le richieste diverse fra questa generazione e quella di allora. Nessuno degli “indignados” sicuramente ha letto Marx, e nessuno si prefigge la rivoluzione come sbocco naturale di questi movimenti. I giovani di oggi chiedono un modello di sviluppo che ormai ha fallito. Vorrebbero godere, a loro detta, di un modello sociale che ci ha portato esattamente dove ci lamentiamo di essere. Ha davvero senso pensare di volere uno stato sociale come quello dei nostri padri? Sarebbe molto più logico cercare delle vie alternative a questo stato di cose, ormai immobile da decenni, cercando di mettere a punto una exit strategy, un modello di sviluppo, sociale e del welfare totalmente nuovo, che prenda in considerazione le nuove figure, le nuove situazioni, e il quadro nuovo che ci circonda.

La protesta accomuna tutto il mondo occidentale, sono di qualche giorno fa le immagini delle forze dell’ordine a cavallo, che a Wall Street hanno caricato i dimostranti con oltre 700 arresti. Tutto questo è avvenuto negli States, non un paese tipicamente comunista o di sinistra. La politica in questi anni per le nuove generazioni, ha fatto poco o nulla, lasciando in eredità loro deficit spropositati, regressione e stagnazione economica, o addirittura (vedi Grecia) dissesti economici importanti. Il neo governatore della Bce Draghi si è detto comprensivo verso i dimostranti. Ovviamente vezzo tutto italiano, il capo dei banchieri europei, è stato tacciato di essere un cattivo maestro, o addirittura di avere fomentato le folle. Cari politici non ci siamo proprio. Questo clima pesantissimo da trincea, da muro contro muro, oramai non va più bene. La gente è stanca, dopo vent’anni di berlusconismo, e anti-berlusconismo, della politica del con me o contro di me, che ha solamente estremizzato il conflitto, strozzando questo paese.

Purtroppo la sensazione riecheggiante nell’aria è davvero negativa. Sperando che non sia così, un autunno caldo è alle porte. La rabbia montata in questi anni, a causa del precariato, della crisi e delle difficoltà economiche, rischia di innescare una serie di violenze, che non faranno altro che portare l’occidente ancora più a fondo. Si spera che delle decisioni di svolta vengano prese nel più breve possibile. Ci saranno scelte difficili da fare, ma che serviranno a lasciare una società migliore alle generazioni del futuro, senza ritrovarsi un mondo come questo fra qualche decennio.

Salvatore Borruto

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