Furto nel caveau e responsabilità presuntiva

23\07\2013 – La Corte di Cassazione si è pronunciata, di recente, in tema di risarcimento per il furto di cassette di sicurezza custodite nel caveau della Banca: con la Sentenza n. 6913/12, cassando conrinvio la decisione dei giudici di merito di I° e II° grado, ha affermato il diritto del ricorrente ad essere risarcito del furto subito all’interno del caveau della banca, ove era custodita la cassetta di sicurezza da lui depositata, contenente gioielli e preziosi. Invero, sebbene la sentenza penale avesse riconosciuto la responsabilità della banca per il furto subito, tale sentenza, avendonatura “generica” circa l’importo del risarcimento, affidava, appunto, al Giudice di merito, in sede civile, il compito di stabilirel’an ed il quantum del danno e, conseguentemente, del risarcimento. Tuttavia, sia il Tribunale Civile, che la Corte di Appello, avevano escluso tale diritto risarcitorio, ritenendo chenon erano stati offerti in giudizio elementi validi e sufficienti a fondare la domanda: in sede penale, infatti, era emerso, come “prova” del contenuto della cassetta, solamente un elenco consegnato dal ricorrente alla Stazione dei Carabinieri, senza chefosse stato accertato il “reale” contenuto della stessa, e taledocumento non era stato ritenuto sufficiente, dai Giudici di merito, a fondare la domanda risarcitoria, in quanto, a parer loro,non era stata dimostrata l’effettiva esistenza, al momento del furto, dei gioielli e dei preziosi dei quali il ricorrente lamentava la mancanza. Invero, ribaltando le decisioni di merito, la Suprema Corte, con la predetta Sentenza n. 6913/12, ha accolto il ricorso sottoposto al Suo vaglio, e, nel cassare con rinvio la sentenza di merito, ha precisato che ”il ricorrente segnala una serie di fatti controversi e decisivi per il giudizio, in relazione ai quali la sentenza impugnata, non ha motivato o, quanto meno, non ha sufficientemente motivato (…) si deve ritenere non condivisibile la scelta del giudice del merito, che non fa ricorso alla prova presuntiva, in considerazione della mancata prova dell’entità del danno, e che finisce pertanto per escludere del tutto l’esistenza stessa del pregiudizio, senza tener conto della regola secondo cui il danno, se non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa”. Da quanto sopra, si evince, dunque, che gli Ermellini, al fine di ritenere raggiunta la “prova” del danno de quo, e, quindi, per dimostrare e provare il “valore” contenuto nella cassetta di sicurezza, trattandosi, peraltro, di danno del quale è estremamente difficile fornire la prova storica, hanno ritenuto legittimo il ricorsoalle presunzioni, di cui agli artt. 2727 e 2729 C.C.. Secondo la Suprema Corte, infatti, il contenuto di una cassetta di sicurezza costituisce una circostanza di fatto generalmente non divulgata, attesa la prioritaria esigenza di riservatezza che caratterizza la scelta di questo servizio bancario: ne consegue, dunque, che deve ritenersi sufficiente la prova presuntiva, costituita, ad esempio, dalle deposizioni degli stretti familiari circa il suo contenuto, dalla denuncia penale, o anche, come nel caso di specie, dall’elenco dei beni consegnato all’Autorità Giudiziaria; tutti elementi di fatto, questi, che, sebbene di provenienza unilaterale, rientranolegittimamente nel quadro probatorio, stante la peculiarità dei fatti da dimostrare.

Avv. Antonella Rigolino

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