Non rilasciare lo scontrino fiscale può non determinare il licenziamento del dipendente

 

scontrino fiscale

23\02\2013 – Spesso accade che gli esercizi commerciali non rilascino lo scontrino fiscale a seguito del pagamento dei clienti; in questi giorni, la Corte di Cassazione-Sezione Lavoro ha statuito che tale comportamento non sempre integra “giusta causa” di licenziamento del dipendente che non procede all’emissione dello scontrino fiscale. In realtà, l’orientamento della Suprema Corte non è pacifico su questo punto, difatti, in una delle ultime pronunce del 2012, gli Ermellini avevano affermato la “legittimità” del licenziamento del dipendente, poichè la mancata emissione dello scontrino fiscale costituiva “un comportamento tale da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro” e faceva “venir meno la possibilità di ipotizzare un comportamento improntato a regole di correttezza nel prosieguo del rapporto” tra datore di lavoro e dipendente. Tornata a pronunciarsi sul punto, il 4 Febbraio 2013, la Suprema Corte ha, però, modificato il suo convincimento, ribaltando, di fatto, il suo decisum precedente: il caso sottoposto al suo On.le vaglio ha riguardato un barista, dipendente di un esercizio commerciale, che, non avendo proceduto all’emissione dello scontrino fiscale nei confronti dei clienti del bar, è stato “licenziato” per giusta causa dal datore di lavoro.  Invero, il Giudice del Lavoro, al quale il lavoratore è ricorso, e che, quindi, ha giudicato in I° grado l’impugnazione del licenziamento, ha ritenuto di dover reintegrare il barista nel posto di lavoro, poichè appariva “sproporzionata” la sanzione del licenziamento rispetto alla contestazione mossa al dipendente, alla luce, anche, delle motivazioni da costui addotte a giustificazione del suo comportamento: il barista, nel corso dell’intero procedimento giudiziario, ha ammesso di non aver emesso scontrini fiscali perchè in quel giorno all’interno dell’esercizio commerciale vi era stato un notevole afflusso di clienti e, per di più, il sistema di vendita adottato in quel bar prevedeva che i clienti prelevassero da sè i prodotti dal frigo e si recassero, poi, alla cassa per il pagamento.

Il decisum di reintegra nel posto di lavoro è stato confermato in sede di Appello ed, infine, dalla Corte di Cassazione, la quale con la Sentenza n. 2510/13, ha statuito che, non essendo il comportamento del dipendente finalizzato all’appropriazione indebita della somma non certificata fiscalmente, il licenziamento appare sproporzionato, tenuto conto anche delle motivazioni addotte dal lavoratore e non contestate da controparte. Secondo gli Ermellini, infatti, l’art. 2119 del Codice Civile “configura con una disposizione (ascrivibile alla tipologia delle cosiddette clausole generali) di limitato contenuto, delineante un modulo generico che richiede di essere specificato in sede interpretativa, mediante la valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi che la stessa disposizione tacitamente richiama”. Pertanto, sulla base dei principi e delle valutazioni suesposte, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso proposto dal datore di lavoro, condannandolo alle spese di giudizio.

Avv. Antonella Rigolino

banner

Recommended For You

About the Author: Antonella Rigolino