“Il Mare in Tasca”, la scena come metafora di vita

il mare in tasca teatro siracusa reggio calabria di Annamaria Milici – Riflessioni riflesse, un boomerang di impressioni che appartengono ad ogni essere umano quelle di César Brie, che con lo spettacolo “Il Mare in Tasca”al Politeama Siracusa di Reggio Calabria, ha chiuso la stagione di prosa “RivelAzioni” Horcynus Fest 2014. Un manifesto poetico che come un faro illumina l’ intera sceneggiatura dedicata all’ Amore. Quando il teatro si fa magia, e l’ Amore narrato è quello Assoluto, inevitabilmente si viene travolti, e lo spettatore si trova a calpestare le doghe invecchiate di un teatro solitario immaginando di essere in viaggio, una navigazione tra gli spruzzi della vita. E la vita stessa diventa metafora di momenti unici ma universali. IMG_0569 Lo spettacolo  scritto, diretto e interpretato dallo stesso maestro che ne ha curato anche la scenografia attingendo per le musiche dagli spartiti classici di Antonio Vivaldi, racconta la storia di un attore che, svegliatosi, scopre di essere stato trasformato in un prete. Da qui inizia un dialogo tra l’attore, il prete e Dio. Tutti e tre parlano attraverso una sola voce gridando il bisogno di dire la loro, in modo forte, irruento. Un mare di parole, di metafore tra divino e profano, in cui tutto si mischia e si ammucchia sul proscenio, in cui staziona il pubblico fittizio che permette al sacerdote di rivolgersi al pubblico reale senza confonderlo con il suo gregge. E il pubblico reale vive con lui sulla scena, rivolgendo lo  sguardo all’ attore di spalle alla platea vuota. Il palcoscenico popolato di respiri è il vero protagonista; un tutt’uno di pensieri, emozioni, silenzi e brividi di magia.  In questa rappresentazione che sfrutta l’espediente del metateatro, non si tratta di credere nella verità della scena ma nella verità della finzione, animata da oggetti semplici e quotidiani ma dall’alto valore simbolico. Una striscia di tessuto blu che spunta dalla tasca è il mare, un dito che si allunga verso il buio e tocca l’infinito. Brie crea così, in maniera irriverente e ironica, la storia di un uomo che non crede in Dio ma che è costretto a conversarci, con la complicità del pubblico, a sua volta testimone di un sacramento. Ne “Il mare in tasca” l’attore si offre in pasto al suo pubblico in un sacrificio che si rinnova ogni volta. Lo spettatore, in religioso silenzio, accoglie questa sua confessione, questa sua riflessione sull’agire teatrale, ma anche e soprattutto sulla vita che il teatro ha spesso la capacità di mostrare, a volte riflessa, altre volte distorta o amplificata.foto 4 E lo assolve. Tutti i peccati umani sono assolti dentro la stanza del prete dietro la sagrestia, e un senso di leggerezza e purezza mischiato ad una sana nostalgia ha liberato chicchi di riso esplosi da un contenitore di ricordi suggestivo nella sua semplicità. Ogni oggetto sul palcoscenico così vicino fisicamente allo spettatore è un ricordo di vita, una simbologia descritta e interpretata ricca di esistenzialismo. E il mare, quel mare infinito, profondo, così blu, è offerto al pubblico perso tra le onde quasi da sentirne il rumore. E Dio, severo, immenso dall’ alto della sua onnipotenza diventa parola,  rimprovero e conforto tra la vita e la morte. E quella porta, più vicina all’ infinito è il confine dell’ attore, di ognuno di noi. Dopo aver confessato, ricordato, emozionato, arriva il momento per tutti di affrontarla, portando nel cuore un nubifragio continuo, nascondendo la speranza più grande di toccare il cielo con un dito. Perchè la morte non è altro che la fine dello spettacolo!

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About the Author: Annamaria Milici