L’Assassino dei sogni. Lettere fra un filosofo e un ergastolano

a cura di Francesca de Carolis

Ed StampaAlternativa

Da mercoledì 30 luglio in libreria, “L’Assassino dei sogni”, lettere fra un filosofo e un ergastolano, Carmelo Musumeci e Giuseppe Ferraro, curato da Francesca de Carolis per la collana Millelire di Stampa Alternativa. Carmelo Musumeci, condannato all’ergastolo, è in carcere dal 1991. Attualmente è nel carcere di Padova. In questi anni ha studiato, si è laureato in legge e da anni conduce con grande ostinazione una battaglia contro l’ergastolo. Alla sua iniziativa hanno aderito personaggi come Veronesi, Margherita Hack, Don Ciotti, Rodotà… e continuano ad aggiungersi nomi. Da sempre scrive: racconti, riflessioni, lettere… per scandagliare senza pietà il suo passato, ma soprattutto per raccontare a chi è fuori il mondo di quelli che definisce “morti viventi”, chiusi nel ventre dell’Assassino dei sogni. Giuseppe Ferraro insegna filosofia della morale all’Università di Napoli Federico II, e in carcere tiene corsi di filosofia. Con Musumeci condivide il carattere passionale e ostinato. Il loro incontro si è presto trasformato in un confronto continuo e serrato, sul percorso della battaglia di denuncia, delle illegalità che in carcere si consumano, ma anche per la costruzione di strade possibili. Questo testo è il “distillato” di due anni di scambio epistolare, che registra incontri, speranze, battaglie, discussioni, momenti di abbandono. Dal giugno del 2009, al luglio del 2011. Da estate a estate, il racconto dell’inverno e dell’inferno della vita in prigione, ma anche della prigione che può diventare anche la vita fuori. Un confronto anche fra scritture. Sincopata quella dell’ergastolano, complessa e ampia quella del filosofo. Il fascino discreto della scrittura epistolare rimane intatto in queste pagine nonostante oggi siamo abituati al frenetico ritmo e linguaggio di “scambi in rete”. Anzi, in qualche modo, qui il mezzo è valore aggiunto in più, diventando racconto esso stesso. In primo piano la realtà chiusa della cella da cui partono le lettere dell’ergastolano, ma sullo sfondo anche è anche l’Italia delle periferie, dove il crimine nasce e trova motivo di crescita, delle scuole degli abbandoni, delle strade, che il filosofo percorre, del nostro Sud. Pagine che, quando tutto sembra perso e il buio sta per avere il sopravvento, diventano lezioni e iniezioni di vita, per l’ergastolano, per il filosofo, ma forse anche per tutti noi. Un suggerimento: da leggere nei licei.

Prefazione

Ricevere una lettera nel tempo isterico delle e-mail è emozione che ho scoperto fortissima. Mi accade spesso, adesso che da qualche tempo incontro persone che in carcere hanno trascorso gran parte, se non la più parte, della propria vita. E nelle loro lettere le parole, che con tanta superficialità e insignificanza spesso usiamo, riacquistano il peso specifico che forse oggi pochi vi sanno dare come le persone forzosamente chiuse al mondo delle relazioni. Così, anche con timore, ho seguito il filo della corrispondenza fra Giuseppe Ferraro e Carmelo Musumeci. Professore di filosofia, Ferraro, docente di Filosofia della Morale alla Federico II di Napoli, che in carcere anche insegna, ed ergastolano ostativo, Musumeci, di quelli che dal carcere non usciranno mai, perché condannati per reati commessi nell’ambito di associazioni di stampo mafioso e che hanno scelto di non essere collaboratori di giustizia, cosa che li esclude dai normali benefici previsti dalla legge. Quelli della “morte viva”, insomma. Carmelo Musumeci, che in carcere si è laureato e da anni conduce una battaglia contro l’ergastolo, rifiuta di fare i nomi dei suoi ormai antichi “colleghi” per un motivo etico: non vuole barattare la sua libertà, dice, con quella di un altro. Convinzione che lo guida nel suo percorso “ostinato e contrario”. Con antenne sempre pronte a intercettare chi, fuori dalle mura nelle quali è costretto, possa comprendere e condividere il suo percorso. Come Giuseppe Ferraro, che proprio in carcere racconta di aver capito cos’è la confessione. Di aver capito, addirittura, il senso de Le Confessioni di Agostino… Da questo incontro e dal reciproco sorprendersi nasce un lungo e affollato epistolario di cui questo libretto è, spero rispettoso, “distillato”. Il professore e l’ergastolano, dunque. Che non è, come si può immaginare, un colloquio fra maestro e discepolo o, chissà, fra consolante e afflitto. Si tratta piuttosto di un confronto, continuo, serrato, con la vita. La vita chiusa di chi è dentro. La vita chiusa che si fa anche quella di chi è fuori, se con chi è dentro sa immedesimarsi. A volte qui le parti persino si invertono, ed è l’ergastolano che consola il professore della sua tristezza, del peso dell’ingiustizia che vede e che può essere insostenibile per chi, impotente, sa. Ci dicono, queste lettere, della vita e delle relazioni dentro e fuori del carcere, ma molto anche ci parlano di una profonda amicizia, che non teme lo scambio di vocativi pronunciati come carezze, di enfasi d’affetto, rari da cogliere fra maschi. “Ho sempre timore che le lettere si smarriscano. Spero questa arrivi…” mi scrive in calce alle sue lettere Giovanni Lentini, da Opera. Timoroso che il filo della comunicazione fra noi si infranga sulle mura di cinta della sua prigione. E questo tremore, dell’Istituzione che è frammezzo e frammezza, traspare sullo sfondo del carteggio fra Ferraro e Musumeci. Ma traspare da queste pagine anche la rete che persone tessono per impedire che la comunicazione fra il dentro e il fuori si spezzi. Come Nadia, Nadia Bizzotto, “l’angelo” cui qua e là si accenna. Piccione viaggiatore piuttosto direi, che a volte, prima di consegnarle, le lettere, vi sbircia dentro e vi assicuro spesso si commuove…Il colloquio epistolare fra Giuseppe Ferraro e Carmelo Musumeci nasce con l’esplodere di un’estate, l’abbiamo seguito fino al caldo insopportabile di due estati dopo. Tutto, nel frattempo, per chi è in carcere, è rimasto fermo. Tutto, tranne il fiume di questo scambio di vita che ancora, sappiamo, continua.

Francesca de Carolis

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