Stabilità e lavoro: non c’è pace per Renzi. E adesso si mette in mezzo anche l’Ue

Con buona pace delle iniziali intenzioni dell’attuale segretario del Pd, Matteo Renzi, che, all’indomani della sua nomina a capo del Governo, aveva pensato di intraprendere il percorso delle riforme in modo condiviso, coinvolgendo, quindi, le diverse parti sociali all’interno di un progetto il più possibile unitario, la realtà ci consegna, ahinoi, una situazione completamente diversa. I cruenti scontri politici venutisi a creare attorno alle discussioni che riguardano, da un lato, la legge di stabilità e, dall’altro, la riforma del lavoro, fotografano un contesto sociale ben diverso da quello che era (almeno a parole) il sogno renziano di rottamazione. Le distanze tra la compagine governativa e i sindacati, nonché tra maggioranza e minoranza Pd, aumentano a vista d’occhio, come in aumento sembrano anche le contrapposizioni con chi a questo esecutivo intende opporre una visione del Paese Italia, nonché un programma di governo, completamente differenti. Nel mezzo, collocata in una posizione di eterna ambiguità e contraddizione, si trova Forza Italia che, a ben vedere, si potrebbe dire che stia attraversando il periodo più contorto della sua storia.

E cosi, se Renzi si trova a suo agio, in misura maggiore, con industriali, lobbisti e finanzieri, rispetto ai lavoratori che stanno facendo esplodere, talvolta in forme cruente, tutto il loro disagio, i Sindacati, con Cgil e Fiom in testa, promettono una dura opposizione alle politiche lavorative ed economiche dell’esecutivo a trazione Pd con Ncd come ruotino di scorta. Se la manovra economica prospetta l’ipotesi infausta di un aumento dell’Iva e delle accise – eventualità considerata drammatica da tutti tranne che dalle istituzioni europee, perché rischia non solo di paralizzare definitamente i consumi ma anche di bloccare sul nascere ogni eventuale tentativo di assunzioni da parte degli imprenditori – la Cgil ritiene che un’ipotesi sulla quale puntare potrebbe essere quella di una patrimoniale e, quindi, di un’imposta sulle grandi ricchezze finanziarie. Non è, ovviamente, in discussione l’impegno da parte dei sindacati in ordine alla lotta per la difesa dell’articolo 18. Renzi, invece, dal canto suo, ritiene che la riforma del lavoro sia una riforma di sinistra “come non ho mai visto”, in quanto, art.18 a parte, c’è un “consenso generale su tutto”, che impone di adoperarsi perché il cosiddetto Jobs act entri in vigore dall’1 gennaio.

italia vs europaNelle ultime ore, inoltre, sembrerebbe acutizzarsi il confronto tra l’ex sindaco di Firenze e il Presidente della Commissione Europea, Jean Claude Juncker. C’è chi sostiene che sia un scenetta ben ideata ed interpretata, dinanzi alle chiare ed oggettive difficoltà di risolvere i gravi problemi del Paese, con il solo intento di tornare alla urne per poter, eventualmente, disporre di una maggioranza ancora più ampia che consenta di imporre qualunque modifica, bypassando ogni tipo di dialogo e confronto, o relegando questi ultimi al mero ambito dell’ascolto fine a se stesso e della tolleranza politica. È finito, ha chiarito, il Presidente del Consiglio italiano, il tempo in cui l’Italia andava in Europa col cappello in mano a chiedere il favore di essere ascoltati. Se queste siano soltanto chiacchiere o sceneggiate teatrali è troppo presto per dirlo. Per adesso, quel che è certo è che il semestre italiano di guida del Consiglio dell’Unione Europea, con Matteo Renzi nei panni di Presidente dell’Ue, sta quasi per terminare senza che nessuno se ne sia accorto e che sia cambiato realmente qualcosa.

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About the Author: Luigi Iacopino