Alessandra Hropich ed il suo libro “Quando il mostro è il proprio padre”

alessandraAlessandra Hropich è l’autrice di un libro, definiamolo, “forte”. “Quando il mostro è il proprio padre“, questo il titolo del romanzo, rappresenta un modo di comunicare agli altri le sofferenze di un’intera famiglia, dall’apparenza normale, e, soprattutto, uno spunto per affrontare un tema di cui si parla spesso: l’abuso sui minori tra le mura domestiche. Ma leggiamo da Alessandra stessa chi è ed il messaggio che vuole lanciare con il suo libro.

Alessandra, raccontarci chi sei e quando e come nasce il tuo amore per la scrittura.

Sono una scrittrice in genere. Prima del libro, ho sempre scritto gli argomenti dei Convegni, per un partito politico, per programmi tv, insomma ho sempre avuto a che fare con la scrittura. L’amore per la scrittura nasce circa dieci anni fa da un incontro con una nota editorialista che mi suggerì di girare sempre con carta e penna per annotarmi ogni pensiero rilevante del mattino, a mente fresca, per evitare che certi propositi si disperdano nell’arco della giornata. Erano gli anni dell’ Università e amavo molto pensare ma detestavo mettere per iscritto il mio pensiero. Poi, è nata una piacevole abitudine.

Alessandra raccontaci brevemente il tuo libro “Quando il Mostro è il proprio padre”.

Il libro “Quando il Mostro è il proprio padre” (edizioni bibliotheka) è la vera storia di una famiglia distrutta dalla presenza di un uomo cinico, crudele, un uomo sprezzante e prepotente all’interno della sua casa e con i suoi familiari ma mite, quieto, gentile, all’esterno, in modo da non destare mai alcun sospetto da parte del vicinato. Un uomo con una visione distorta persino del sesso. Tutto trae origine da un’infanzia infelice di quest’uomo, un’infanzia vissuta come un bambino senza genitori, alla mercé di un patrigno violento. La stessa violenza, lui la eserciterà da adulto detestando ogni manifestazione di gioia da parte della giovane e solare moglie alla quale, lui con molta costanza, spengerà ogni ambizione e Mostrosogno. Un abusatore che detesta la moglie sposata solo per avere una badante al suo servizio ma neppure un giorno oggetto dei suoi desideri sessuali o da lui.

Perché scrivere un libro che tratta di un argomento così “forte”?

Perché tutti debbono sapere che trovarsi a convivere con un uomo che credevi in un modo e che poi scopri essere un altro, non è un caso isolato ma più frequente di quello che si pensa. Ma i giornali parlano di molti fatti di cronaca e spesso questi non vengono neppure raccontati.

Cosa hai provato nel raccontare questa “brutta storia”?

Ho provato imbarazzo in un primo momento, poi è sopraggiunto quasi un desiderio di giustizia, nel senso di dare, attraverso il racconto, una risposta a quanti, tra vicini e conoscenti, lo hanno ritenuto un uomo perbene, buono, quasi santo. Ecco, io parlo soprattutto a loro, quasi volessi aprire le loro menti e i loro occhi che non hanno visto o voluto vedere mai nulla. Da ultimo, ho provato un senso di liberazione raccontando le sofferenze e l’astuzia di un uomo perverso dall’apparenza umano, un uomo vile e scaltro capace di approfittare di tutte le persone indifese, soprattutto in famiglia.

Cosa vorresti dire alle donne che subiscono violenze? Quale messaggio vuoi far passare con il tuo libro?

Alle donne, vorrei dire di rispettarsi, di non tollerare soprusi da parte neppure di un familiare. Dico sempre che le donne hanno la sindrome della crocerossina, si fanno vittimizzare e non lasciano un uomo violento. Mentre dimenticano che l’amore non è vittimismo e non implica l’accettazione passiva dei soprusi. La moglie del Mostro ha sopportato per tenere in piedi quella che lei riteneva una famiglia. Le donne che subiscono violenze debbono lasciare l’uomo al primo episodio, non esiste ripresa alcuna. Non parlo di denunciare o altro visto che deve essere un’azione decisa e ponderata ma di allontanarsi da un uomo violento con cui c’è ripresa. Con il libro, vorrei che le donne capissero che, quando si uniscono ad un uomo, lo fanno per condividere valori, una vita serena, una famiglia con lui e non per diventare vittime.

Katia Germanò

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