La scuola non diventi terreno di scontro ideologico

La sindrome dello scontro culturale Islam-Occidente si vince soprattutto a scuola. Così scrivevo qualche giorno fa nel commentare i dati dell’ultimo censimento sulla presenza dei minori stranieri nelle scuole italiane effettuato dal Miur. Purtroppo si assiste in questi giorni quasi ad una rissa alimentata da desolanti episodi negazionisti della tradizione cattolica che alimentano proprio all’interno delle istituzioni scolastiche, e non solo, integralismi di opposti schieramenti che anche in questo caso si sono subito costituiti nel nostro Paese. Si tratta di capire una buona volta per tutte che bisogna misurarsi con una trasformazione reale in atto nella nostra società, rispetto alla quale non è utile fare come gli struzzi e mettere la testa sotto la sabbia.classe-di-scuola-elementare-e1284452479579

Oramai la religione islamica è la seconda religione in Italia e non riguarda nel senso classico una minoranza, mentre, anche questo va riconosciuto tranquillamente, il cattolicesimo a sua volta interessa una quota non più maggioritaria nel Paese. Il numero di alunni di fede islamica nelle scuole italiane, è stato evidenziato, raggiunge più o meno quello di tutti gli alunni di una regione come la Calabria. Sono almeno 300mila i bambini e i ragazzi provenienti da paesi di religione musulmana: Albania 107.862,Marocco 101.167, Tunisia 18.163, Egitto 15.239,Algeria 4.546, Bangladesh 13.163 ,Senegal 12.441, Kosovo 9.185, Turchia 3.868, Pakistan 18128 solo per citare le più significative presenze.

Quindi è il caso di ragionare pacatamente su alcuni aspetti della problematica. E intanto visto che il Concordato impone un’ora di religione cattolica nelle nostre scuole, mi sembra corretto pensare anche agli islamici. E il momento sarebbe decisamente arrivato. Proprio per via dei numeri. Ormai quasi due bambini su cinque tra quelli che entrano nelle nostre scuole sono islamici.

In Calabria su 13.163 allievi stranieri il 22% è di religione musulmana,mentre nella città di Reggio su 1.723 il 22,3% è di origine marocchina e tunisina.

Aprire le porte, per esempio, alla loro religione nelle scuole può sembrare una proposta di civiltà ,ma di difficile realizzazione, almeno per ora. Ci sono delle criticità legate alla complessità del problema. Comincerei a pormi il problema del reclutamento degli insegnanti. Per l’IRC programmi e obiettivi specifici di apprendimento sono redatti dalla CEI e approvati con Dpr dello Stato e per gli insegnanti vi è il bene placito della Curia. Ma per loro come si può fare? Non esiste una gerarchia nell’ambito della religione islamica. Nel nostro Paese ci sono una ventina di differenti paesi islamici. E poi siamo sicuri che gli islamici che vivono in Italia abbiano voglia di praticare il culto nelle scuole? Insomma, ci sono delle riserve consistenti anche se non sottovaluto l’importanza di affrontare una tema così delicato. Ma se ai cattolici facciamo leggere il Vangelo, ai musulmani il Corano e agli ebrei la Torah, ognuno nel suo orticello didattico, l’integrazione diventa solo una illusione. Anche l’insegnamento della storia delle religioni diventa a questo punto riduttivo. Però senza reciproca conoscenza non ci sarà vera integrazione. Il problema del fenomeno religioso va affrontato a scuola nella sua poliedrica complessità, quindi storia, filosofia, geografia ,antropologia, costumi sociali. Bisognerebbe far capire agli studenti perché le varie religioni sono anche alla base di violente divisioni. L’islam lo devono studiare anche il bambino cattolico e quello ebreo. Ognuno deve poter aprire il Libro dell’altro. In ciò consiste la vera integrazione, che è l’unica che ci consente di salvaguardare la nostra società da nuove violenze. Insomma, dobbiamo imparare a stare insieme. La gente deve imparare a mescolarsi, a capire che a fianco di sé c’é un altro modo di essere e di credere. E’ chiaro che per raggiungere questo obiettivo la scuola deve fare la sua parte e che necessitano docenti in grado di gestire il tema dell’interculturalità. E’ un lavoro di media e lunga prospettiva. Ma va iniziato prima che sia troppo tardi. Se pensiamo che basta concedere il minareto, la moschea o il muezzin convinti di avere soddisfatto la nostra coscienza di progressisti, siamo ancora fuori strada rispetto alla via dell’integrazione. Tuttavia, va anche sottolineato che, malgrado le difficoltà in cui anche la scuola calabrese e reggina in particolare, opera, quel che avviene nelle nostre istituzioni scolastiche sa talvolta di miracoloso perché rappresentano l’unico laboratorio di convivenza civile e di reale integrazione multiculturale. E’ un lavoro didattico e pedagogico che gli insegnanti sviluppano ogni giorno con poche risorse certo ma tanto buon senso. Quello che talvolta manca e che spinge le persone su posizioni ideologiche oltranziste che fanno danno soprattutto agli allievi stessi.

Prof. Guido Leone

Già Dirigente tecnico USR Calabria

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