

Per chi gira a vuoto. Per coloro i quali si trovano coinvolti nei giochi della mente e nelle sue costruzioni. Preoccupazioni, dunque fantasie, che si presentano sotto falso nome. Si fingono problemi da risolvere per i quali occorre attivarsi e spendere tutte le energie possibili. Poco importa se sulla questione abbiamo consultato enciclopedie, iniziato una analisi interminabile degli eventi e coinvolto tutti gli amici disponibili a sentire i nostri discorsi. Ogni volta che questi pensieri compaiono alla nostra coscienza sembra come presentarsi l’occasione di riscatto. Praticamente pensiamo per non pensarci più. È un processo paradossale, ma noi non lo sappiamo. In preda a pensieri ancorati ad emozioni intense ci agitiamo, ci attiviamo, purtroppo inutilmente, quando invece molto più efficace sarebbe fermarsi e cambiare “strada”. Sono pensieri con modalità ossessiva quelli che ci costringono in un vortice incontrollabile e circolare senza via d’uscita: siamo in loop. Un esame andato male, un affare non concluso, la fine di una storia d’amore. “Perché?” “Dove ho sbagliato” “E ora?” sono le domande più frequenti. Spesso sono eventi correlati a stati mentali inerenti alla rabbia quelli che più di tutti si ripresentano. Bassa tolleranza alla frustrazione, dunque, che aumenta se non diamo sfogo al bisogno del momento: dedicarci alla faccenda. “Ci hanno fatto arrabbiare” è un’espressione che non consente di vedere con chiarezza la questione. La rabbia è un correlato emotivo presente fin dalla notte dei tempi. È un’emozione primaria. È già dentro di noi. Solo si risveglia quando serve proteggersi. L’uomo primitivo funzionava per processi semplici e non entrava di certo in loop. Al contrario noi (uomini evoluti) la rabbia la andiamo anche a cercare,entrando in insidiosi labirinti, sempre convinti di trovare la strada, la via d’uscita che possa salvarci, quanto meno dal senso di colpa da imperizia. Come fare dunque per sottrarsi al giogo?
Punto n.1 Conoscere la qualità di questi “soliti” pensieri. Poco utili e molto dannosi: la loro circolarità, infatti, non promuove il cambiamento.
Punto n.2 Lasciare andare tali pensieri utilizzando metafore immaginative (adagiando emozioni e pensieri ad esempio su nuvole che il vento porta via, mentre noi ci limitiamo ad essere semplici spettatori)
Punto n.3 Sentire le nostre emozioni. Se le riconosciamo e diamo loro un nome il conflitto interiore inizia a placarsi.
Punto n.4 Concentrarsi sul “qui e ora”. Il passato non torna più, il futuro non è ancora, il presente è adesso. Concentriamoci sul nostro “adesso”. Costruiamolo.
Punto n.5 Incrementare una sana conversazione con se stessi: riflettere e rivedere le cose vissute, decidere di agire in maniera differente in futuro, accettare che su alcune cose non possiamo più ingenerare alcun cambiamento, sentirsi in pace con se stessi.
Tutto ciò evitando qualsiasi tipo di giudizio. Ma se i pensieri dovessero comunque arrivare, opporre resistenza significherebbe amplificare il problema. Allora come Odisseo, potremmo scegliere di assecondare il nostro bisogno limitandoci ad ascoltare per un breve tragitto il canto delle Sirene. Se, tuttavia, con un piano strategico condiviso dovessimo decidere di non alimentare dentro di noi il canto ammaliatore, esso allora potrebbe estinguersi per sempre.
Olga Iiriti – psicologa psicoterapeuta