In una società che si sta auto-divorando, il CSTP accoglie il richiamo di don Valerio a tornare ad essere “comunità”

Ogni giorno diventa difficile riuscire ad evitare di annegare nel mare delle banalità, diventa difficile evitare di essere sommersi dai luoghi comuni, diventa difficile resistere alle travolgenti onde di selfie. Non è pessimismo, ma la triste constatazione di una “civiltà” che si sta auto-divorando, vittima del più esasperato egocentrismo, non più solo decadente, ma, ormai in caduta libera. In poco meno di qualche decennio, tutto è stato stravolto, tutto si è trasformato, non vi sono più “punti di riferimento”, la famiglia, la scuola, la chiesa, la politica, persino il vincolo sociale si è spezzato, colpito a morte dai pesanti colpi di un relativismo etico che domina su tutto. Un materialismo quasi animale e il primato dell’economia, hanno sopraffatto la dimensione comunitaria. Forse è proprio questo il vero, grande problema del nostro tempo, non essere più “Comunità”, ma solo una società di individui atomi, in cui prevale la logica del “cane mangia cane”. Già alla fine del 900, Ferdinand Tönnies, tracciando le differenze tra Comunità e Società, aveva avvertito circa questo rischio, ma come Cassandra, la sua profezia è rimasta inascoltata. Per Tönnies, la Comunità è un modello organico, le cui forme embrionali emergono in seno alla famiglia per poi estendersi ai rapporti di vicinato e di amicizia. All’opposto, si trova la Società. Secondo il sociologo tedesco, nella Società, gli individui vivono per conto proprio, in un rapporto di tensione con gli altri: “La società è dunque una costruzione artificiale e convenzionale, composta da individui separati, ognuno dei quali persegue il proprio interesse individuale, ed essa entra in gioco solamente come garante del fatto che le obbligazioni che i contraenti si sono assunte vengano onorate”. Quindi, Tutto è costruito sull’aspettativa di una contropartita tanto nei rapporti interpersonali, quanto nei rapporti tra individui e istituzioni. Gli anni che viviamo, col loro portato di individualismo e di utilitarismo, narrano una storia di vanità dilagante, di disperato desiderio di “apparire”, di ricchezza, di status sociale, per i quali si è disposti a tutto, a qualsiasi pratica lecita o illecita, a sfruttare posizioni, come quelle politiche, per soddisfare il proprio benessere individuale e non per tutelare la propria Comunità.  In un tale ambiente, eccezion fatta per qualche “felice isola resistente”, non solo è quasi naturale la proliferazione della ‘ndrangheta ma, ancor peggio, soprattutto tra le giovani generazioni, serpeggia e si riproduce il più totale disinteresse, la più assoluta rassegnazione, la più completa indifferenza nei confronti di una città e del suo futuro, stretto tra la morsa della malavita organizzata e del disinteresse generalizzato. Reggio, lo dicono in molti, è una città veramente “strana”, il nostro è un Popolo “particolare”, capace di grandi slanci, di profondi atti di eroismo, di impegno e sacrificio portato alle estreme conseguenze (quasi due anni di Rivolta nei confronti di uno stato patrigno ne sono stati una fulgida testimonianza), ma allo stesso tempo, può essere particolarmente remissivo, capace di sopportare in silenzio qualsiasi ingiustizia, qualsiasi angheria, capace di chiudersi nel vano fatalismo del “Riggiu non vindiu mai ranu” o, peggio ancora, nel più svilente nichilismo del “mindi futtu”. Questa è diventata una città, nella quale, il primo obiettivo dei padri e quello di convincere i propri figli a fuggire, ed il primo obiettivo dei figli è quello di trovare il modo per farlo; questa è diventata una città, nella quale anche la speranza di un futuro migliore è stata compromessa, prima dai criminali che per anni hanno agito indisturbati e successivamente da un potere ormai emancipato dal controllo politico che, parafrasando le parole di Tacito, ha fatto un deserto e lo ha chiamato pace. Pertanto, noi auspichiamo che lo “squarcio” aperto qualche giorno fa dalle riflessioni di don Valerio Chiovaro non venga frettolosamente e colpevolmente ricucito da abili mani (e penne) che vogliono mantenere lo status quo. Perchè anche noi, in questa città “ci siamo e ci restiamo”…pronti a dare le nostre vite per il bene della collettività.”

IL PRESIDENTE –  Giuseppe Agliano

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