Libertà di stampa: è “libera” appena il 13%

Report Freedom of Press  2017 della prestigiosa organizzazione Freedom House

Democrazia non è sempre sinonimo di una situazione salubre in ambito di media e libertà di stampa. La libertà di stampa in tutto il mondo sta andando via via deteriorandosi, registrando nel 2016 il punto più basso in 13 anni .“Brasile, Colombia, Honduras e Messico rimangono tra i luoghi più pericolosi al mondo per i giornalisti – si legge nel report”. Basti pensare al Messico, dove i giornalisti che indagano su abusi di polizia, traffico di droga e corruzione governativa sono in costante pericolo di vita: l’anno scorso ne sono stati uccisi nove, e ben dieci solo nei primi otto mesi di quest’anno. Per quanto riguarda i Paesi virtuosi, il report sottolinea che la quota della popolazione mondiale che gode di una stampa libera è pari ad appena il 13 per cento: questo significa che meno di una persona su sette vive in paesi nei quali c’è una forte diffusione delle notizie politiche, la sicurezza dei giornalisti è più o meno garantita, le intrusioni statali nei media sono minime e la stampa non è soggetta a onerose pressioni legali o economiche. Vi figura buona parte dell’Europa e vi rientrano anche gli Stati Uniti ,seppure in peggioramento, ma non l’Italia. Eppure, negli Stati Uniti,  dove la libertà di stampa è ancora forte, sono i ripetuti attacchi di Donald Trump, prima come candidato alla Casa Bianca e poi come presidente, a far prevedere tempi bui: “Nessun presidente Usa nella storia recente ha mostrato un maggior disprezzo per la stampa  nei suoi primi mesi in carica nazionale”. Tra le altre democrazie in cui i leader democratici hanno mostrato disprezzo per la stampa, il report cita l’Ungheria, la Polonia, la Serbia, Israele, il Sudafrica e le Filippine. Succede così che gli Stati Uniti, ma anche la Polonia, le Filippine, o il Sudafrica, durante tutto lo scorso anno avrebbero “attaccato la credibilità dei media indipendenti e mainstream attraverso una retorica allarmante ostile, abusi personalizzati online e una pressione editoriale indiretta”. Freedom House parla di delegittimazione delle fonti critiche o imparziali di informazione, con diversi tentativi di ricreare la copertura delle notizie a loro vantaggio, “rifiutando  il tradizionale ruolo di guardia di una stampa libera nelle società democratiche”. Nel frattempo, la pressione nei regimi più autoritari continua senza sosta. “I governi della Russia e della Cina, avendo stabilito un controllo quasi completo sui media nazionali, hanno intensificato gli sforzi per interferire e disturbare anche gli ambienti mediatici nei paesi limitrofi e in quelli più lontani” si legge nel report. Così come le autorità in Turchia, Etiopia e Venezuela avrebbero usato disordini politici o sociali come pretesto per reprimere ulteriormente le testate indipendenti e di opposizione. Si pensi ad esempio alla situazione turca, al cosiddetto golpe fallito e agli oltre 170 giornalisti dietro le sbarre (il numero più alto del mondo). E poi ci sono i paesi dell’Africa sub-sahariana, del Medio Oriente fino all’Asia nei quali, i governi non mancano di utilizzare anche altre modalità per reprimere la stampa, come le leggi restrittive , Internet e l’online , e l’interruzione dei servizi di telecomunicazione in momenti cruciali come proteste o elezioni. Certo, il report di Freedom House non manca di segnalare anche i miglioramenti: in Afghanistan, Argentina, Panama e Sri Lanka, ad esempio, durante il 2016 i governi si sarebbero sforzati di stabilire rapporti migliori con la stampa e i media rispetto agli anni precedenti. “Tuttavia – si legge – gli effetti pratici di molti di questi miglioramenti rimangono ancora da vedere”. E i conflitti e le situazioni di instabilità spesso rischiano di vanificare gli sforzi intrapresi. E l’Italia? Freedom House la definisce “parzialmente libera”, confermando però il perdurare di  criticità strutturali: dai conflitti di interessi irrisolti, al  controllo politico sulla Rai, la debolezza delle normative antitrust, le minacce continuate e ripetute da parte della politica, ma anche della criminalità organizzata, nei confronti dei cronisti e del diritto di cronaca. Si legge testualmente nel report : nel mese di maggio, il Consiglio dei Ministri ha approvato la prima legge sulla libertà di informazione in Italia; i sostenitori della libertà di media hanno  ritenuto che la normativa in generale apportasse revisioni positive, ma hanno sottolineato la necessità di una corretta attuazione. Nel mese di luglio, un tribunale di Milano ha condannato un redattore e giornalista per la rivista Panorama a pagare € 800 ($ 900) in multe e di € 45.000 ($ 50.000) in danni per un caso di diffamazione lanciato dal governatore della Sicilia, il quale  ha iniziato una causa  per un articolo del 2012 che ha presunto collegamenti tra lui e gruppi di criminalità organizzata. I watchdog hanno sollevato l’allarme su una controversa legge sul cyberbullying approvata dalla Camera dei Deputati in ottobre, rilevando che le sue ampie definizioni e le rigide pene potrebbero essere utilizzate per frenare l’esercizio della libertà di parola online. Nel mese di dicembre, la società francese Vivendi ha rivelato l’acquisizione del 12 per cento di Mediaset, il conglomerato mediatico italiano, e ha annunciato intenzioni per aumentare il suo stake, alimentando speculazioni su un acquisto che potrebbe rivelarsi  ostile. Per quanto concerne la libertà di stampa on line, per Freedom on the Net, nell’ultimo anno i governi stanno “aumentando marcatamente gli sforzi per manipolare l’informazione sui social media, minando la democrazia. Sono 30 i governi di  Paesi che  hanno usato qualche forma di manipolazione dell’informazione online, attraverso commentatori pagati, troll, bot, siti di news falsi e organi di propaganda. Oltre a Russia e Cina, figurano Stati come Turchia, Venezuela e Filippine, Messico e Sudan. In Europa occidentale, Il report segnala altresì la presenza di fake news sulle elezioni nei 4 Paesi esaminati: Italia, Francia, Germania e Regno Unito. “I governi stanno ora utilizzando i social media per sopprimere il dissenso e far progredire un’agenda antidemocratica”, ha affermato Sanja Kelly, direttrice. del progetto Freedom on the Net.

M.S.

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