Sentenza storica del Tribunale di Torino: se le aggressioni non sono «frequenti e continue» non si può parlare di «maltrattamenti in famiglia»

foto di GNS

“Se le percosse sono atti episodici, legati a situazioni particolari, non si può parlare di maltrattamenti”. E’ una sentenza storica  destinata a far discutere quella emessa dalla quinta sezione penale del tribunale di Torino che ha assolto un 41enne, accusato di maltrattamenti in famiglia, e che forse appare ancora più atipica poichè a pronunciarla è stata proprio una donna, una donna giudice . Nella sua requisitoria, il pubblico ministero. aveva sottolineato le «continue aggressioni fisiche» e le «umiliazioni morali» che la donna era stata costretta a subire. Aveva parlato di calci, pugni e schiaffi, di lancio di oggetti e di offese quasi quotidiane. Ma al momento della sentenza, la giudice ha stabilito che si era trattato di «atti episodici» avvenuti in «contesti particolari» e non in grado di causare nella vittima «uno stato di prostrazione fisica e morale»aggiungendo che non ci sarebbero stati «atti di vessazione continui tali da cagionare un disagio incompatibile con normali condizioni di vita». In parole povere, se le aggressioni non sono «frequenti e continue» non si può parlare di «maltrattamenti in famiglia».

Soprattutto se non c’è una sopraffazione sistematica della vittima. » A nulla è servito che la donna, a quanto risulta da referti medici presentati dall’accusa , sia corsa in ospedale nove volte in otto anni perché aveva il naso rotto o una costola incrinata. Scrive il Tribunale nelle motivazioni della sentenza, «non tutti gli episodi sono riconducibili ad aggressioni da parte dell’imputato». Episodi che la moglie ha ricollegato genericamente a una lite, ma per i quali non è stata in grado di fornire, a parte per l’ultimo, una descrizione dettagliata. «Tali fatti proprio perché traggono origine da situazioni contingenti,non paiono perciò riconducibili, a un quadro unitario di un sistema di vita tale da mettere la vittima in uno stato di prostrazione fisica e morale». I litigi in casa erano all’ordine del giorno e anche la donna si scagliava a volte contro il marito. Tant’è che, sia i figli della coppia, sia i vicini di casa, non sono stati in grado, in alcune occasioni, di indicare chi tra marito e moglie avesse usato violenza per primo nei confronti del coniuge. L’imputato, alla fine, è stato assolto dall’accusa di maltrattamenti. L’unica condanna a sei mesi (con la condizionale) è arrivata per violazione degli obblighi assistenziali, ovvero per l’abbandono della casa familiare e per il «mancato contributo al mantenimento dei figli minorenni».

MS

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