Oceano Pacifico : la plastica nella “grande isola della spazzatura” continua ad aumentare

Nell’oceano Pacifico, tra la California e le Hawaii, c’è un’isola che non ha nulla di esotico. È infatti nota come Pacific Trash Vortex o Great Pacific Garbage Patch, la grande isola di spazzatura del Pacifico, che è un enorme accumulo galleggiante di rifiuti dovuto all’incrocio di diverse correnti marine, divenuta nel tempo  grande quanto tre volte la Francia.

Secondo un nuovo studio pubblicato su “Nature” dall’Ocean Cleanup Foundation, che ha sede  nei Paesi Bassi, rappresenta un problema ancora più grave del previsto. La plastica, che costituisce la quasi totalità – il 99,9 per cento – dei rifiuti concentrati nell’isola, ammonta infatti a 79.000 tonnellate, cioè 16 volte in più di quanto stimato finora.L’accumulo è noto da parecchio tempo, perlomeno dalla fine degli anni ’80. Un gigantesco vortice di correnti superficiali ha concentrato in quest’area i rifiuti formati principalmente da materiali plastici gettati o persi da navi in transito, o scaricati in mare dalle coste del Nord America e dall’Asia. Questa concentrazione, oltre che dall’effetto focalizzante delle correnti, dipende dal fatto che la plastica non è biodegradabile e permane per tempi lunghissimi nell’ambiente. Una lentissima degradazione, causata principalmente della luce del Sole, scompone i frammenti plastici in sottili filamenti più piccoli caratteristici delle catene di polimeri. Questi residui, non metabolizzabili dagli organismi,  finiscono per formare una sorta di vero e proprio “brodo” nell’acqua salata dell’oceano. Il galleggiamento delle particelle plastiche, che hanno un comportamento idrostatico simile a quello del plancton, ne induce l’ingestione da parte degli animali planctofagi, ovvero degli organismi acquatici, animali e vegetali che vivono sospesi, a galla , in seno alle acque.

Effetti tossici per l’ ambiente

Gli effetti per l’ambiente sebbene non siano stati ancora studiati in maniera approfondita e appaiano di difficile valutazione data l’estensione del fenomeno e le scale temporali associate, sono probabilmente nefasti.  Soprattutto  facendo riferimento alle alte concentrazioni di policlorobifenili- PCB   (molto tossici e probabilmente cancerogeni) che possono entrare nella catena alimentare visto che i filamenti plastici sono difficilmente distinguibili dal plancton e quindi  vengono ingurgitati prima dagli organismi marini e poi  ingeriti dall’ uomo che di essi si nutre, ma sono distruttivi anche  prendendo in considerazione la capacità della microplastica di fornire un rilevante supporto alla proliferazione di colonie microbiche e di agenti patogeni. Più in generale appare preoccupante valutare in termini di conseguenze possibili la presenza nell’ ecosistema di rifiuti pervasivi e tossici, in un arco di tempo lungo, fatto di decine o centinaia di anni.

Anche nel Mediterraneo

L’Isola di Plastica,non è solo presente  nell’Oceano Pacifico ma anche nel Mediterraneo. Uno studio recente parla di «Mediterranean soup», zuppa mediterranea che in alcuni punti raggiunge una concentrazione di rifiuti che non ha pari in altre parti della Terra, facendo emergere in tutta la sua entità un problema che non è solo un disastro ambientale dalle proporzioni incalcolabili ma costituisce la rappresentazione plastica,  la metafora più precisa e terribile,  del fallimento del nostro modello di sviluppo.

MS

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