Il tempo nel Disturbo Bipolare

di Olga Iiriti – Spiegare cosa sia il tempo è un’impresa assai difficile. Lo sapeva bene Sant’Agostino che ne “Le Confessioni”, così si pronunciava: Che cosa è, allora, il tempo? Se nessuno me lo chiede, lo so; se dovessi spiegarlo a chi me ne chiede, non lo so. Eppure il tempo rappresenta per tutti la possibilità del divenire del proprio Essere ed anche la sua manifestazione.  Proprio per questo, volendo scegliere una sola variabile utile a descrivere quella condizione di psicopatologia che nei manuali risponde al nome di Disturbo Bipolare, parlerò della dimensione temporale specifica e della sua caratteristica mutevolezza.  In generale e sempre, quando si presenta una persona per essere aiutata da uno specialista, la prima cosa che fa il clinico è cercare di capire. Quando e da quando il soggetto ha la percezione del disagio? Qual è la descrizione del problema inteso come processo temporale? Al clinico interessa formulare determinate domande perché sa che per capire, egli deve indagare il tempo del dolore, dall’inizio e come fenomeno soggettivo proprio della persona. Ma in psicoterapia, il concetto di tempo ha un ruolo ancora più importante. Perché tutto ciò che il paziente si appresta a narrare, non è altro che una trama di eventi vissuti nella storia di vita.  E dunque in che misura il tempo ci permette di capire il Disturbo Bipolare? Chi soffre di questa condizione sosta in modalità differenti e antitetiche del sentire e del gestire il proprio tempo.  Lento, lungo, stanco quello vissuto nella fase depressiva. Si sviluppa in giornate vissute nell’attesa della sera, quel momento in cui si placa la percezione che il tempo della vita di fuori non coincida con il tempo della vita di dentro. E nell’immobilità della convinzione, questo tipo di sofferenza non aiuta a mettersi al passo con il tempo soggettivo degli altri e del mondo, confermando l’immagine di Sé come di persona inadeguata. Da qui la tendenza a ritrarsi nel passato, come desiderio irrealizzabile di voler rivivere ancora in quei momenti. Nei ricordi dove si era e si viveva il tempo giusto.  Dalla parte opposta, scopriamo cosa significhi “essere” quando il tempo è rapido e incessante. Qui le esperienze di vita sono momenti fugaci, un succedersi di “ancora… e poi… e allora”. I racconti di storie fatte di emozioni che velocemente arrivano e velocemente attivano la persona, presto o comunque prima che il soggetto si renda conto di cosa stia accadendo. Cosi il soggetto è chiamato a fare più che a pensare. A sentire più che a capire. Il tempo, ora, coincide con la realizzazione del proprio Sè. In una interiorità che non basta, dove fermarsi risulta impossibile, quasi fosse morire. All’interno della seduta, un ascoltatore attento, non dovrà solo analizzare la sequenza di fatti, dovrà anche sentire il diverso modo di intendere il tempo della persona che chiede aiuto. E lo sentirà se durante l’incontro saprà sintonizzarsi non solo col paziente ma anche con se stesso. E sintonizzarsi con il paziente non significa chiedere di aumentare il suo ritmo se è nella frase depressiva nè farlo rallentare se si trova nella fase maniacale. Significa sostare con lui, qui e là. E facendo attenzione, come in tutte le condizioni psicopatologiche, a che non si metta in pericolo di vita o che non sia nocivo agli altri, aiutare a definirsi, come possibilità di esistere in entrambi le condizioni. Perché il terapeuta sa che la persona che soffre di Disturbo Bipolare si trova su una giostra, in quella stessa giostra in cui deve salire anche lui: a testa in giù nel tempo dell’angoscia, e poi su nel tempo del tutto possibile. Con lo scopo di ottimizzare i momenti in cui, seppure per poco, il paziente dalla giostra scenderà, e nella possibilità di gestire i forti momenti emotivi di tutti i giri che saranno.

 

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