Si è svolto il primo incontro “Le voci dì dentro: conversazioni in carcere su Giustizia e Legalità”

“Alessandro Manzoni avrebbe forse detto che era stato l’intervento della Divina Provvidenza, che fornisce il modo per spezzare il circolo che aggiunge male al male, appresa la notizia della scarcerazione delle due bambine di appena uno e tre anni, che da oltre undici mesi si trovavano innocentemente recluse nel carcere “G. Panzera” di Reggio Calabria con la propria madre. Ad appena un paio di giorni dalla testimonianza drammatica di quella stessa madre nigeriana resa in carcere alla presenza dei tanti magistrati, tirocinanti, professori, esperti di settore, detenuti e detenute, educatori, volontari, agenti di polizia penitenziaria ed i vertici dell’Amministrazione Penitenziaria dell’istituto di reclusione e del DAP della Calabria, infatti, le bambine e la mamma sono uscite dal carcere, a seguito del provvedimento adottato presso il Tribunale di Lamezia Terme. Era Lunedì 17 Dicembre scorso, ed il carcere era affollato per la prima visita in occasione dell’inizio del progetto “Le voci di dentro: Conversazioni in carcere su Giustizia e Legalità”, promosso dal Garante Comunale dei detenuti, dall’Anm reggina e dal DiGiES dell’Universita’ Mediterranea. Un incontro autentico, intenso, vero. Per quasi cinque ore ci si è dedicati a “vedere” il carcere, le persone detenute, gli spazi di vivibilità dei luoghi di detenzione e poi il dialogo alternato, serrato, sincero, fra magistrati, detenuti, detenute, docenti universitari, Provveditore dell’Amministrazione Penitenziaria, Garante. Conversazione fra persone, prima di tutto. La cifra di fondo dell’iniziativa può davvero riassurmersi nel suo titolo. Questo è risultato evidente in tutti gli interventi: persone che vivono condizioni e ruoli differenti eppure persone che nel rispetto della dignità della pienezza umana si sono reciprocamente sforzate di parlarsi chiaramente, ufficialmente, proponendo le rispettive recriminazioni o aspettative per il futuro o rivisitazione del proprio passato o, al contrario, la necessità dell’intervento giudiziario, della sanzione penale, della privazione della libertà personale, della doverosa punizione dei fatti di reato, ma su tutto e tutti si è stagliata la persona umana, che accomuna tutti e tutti distingue a seconda delle scelte e delle responsabilità che si è chiamati ad assumere. Una lunga e faticosa elaborazione sui temi delicati della salute in carcere, della funzione rieducativa della pena, delle effettive possibilità di reinserimento sociale una volta usciti dal carcere, dello stigma, l’etichettamento, che un cognome, una parentela, una condanna, recano con se’, spesso, fino all’esclusione irreversibile dalle concrete possibilità di cambiare vita, di svolgere un lavoro onesto, di riprendere in mano le redini della propria esistenza. Eppure le buone provocazioni non sono mancate, specie quando si è “sfidato” benevolmente i detenuti a fare una scelta di legalità, di giustizia autentica, per smettere di ammorbare questa nostra terra dal cancro della criminalità che la soffoca e la impoverisce, costringendo i suoi figli migliori a dover andare via per potersi realizzare. O quando, nei loro diversi interventi, i detenuti dell’Alta Sicurezza, che hanno redatto un articolato documento, sottoponendo all’attenzione dei magistrati, dei docenti, del Garante e dell’Amministrazione Penitenziaria, molteplici problematicità connesse alla detenzione ed al generale sistema dell’esecuzione penale, hanno singolarmente sviscerato le loro personali sensazioni, argomentazioni, riflessioni sul tema del carcere e dell’uomo detenuto e dei rispettivi familiari, che spesso incolpevolmente pagano conseguenze di cui non sono responsabili. O, quando, ancora, i magistrati che sono intervenuti numerosissimi (circa cinquanta fra giudicanti, inquirenti e tirocinanti) hanno, con le rispettive sensibilità, espresso con forza il senso del loro essere persone che giudicano, condannano, assolvono, inquisiscono con l’alto senso della funzione esercitata, eppure senza mai dimenticare che si giudicano i fatti di reato, ma che i diritti delle persone, specie se detenute, vanno tutelati alla stregua della più esemplare delle sanzioni penali. Non sono mancati i primi frutti dell’iniziativa, in particolare alcune proposte concrete: ad esempio, l’istituzione del Polo penitenziario presso l’Università Mediterranea di Reggio Calabria; o ancora l’attivazione di uno sportello legale curato da tirocinanti del Master in Diritto e Criminologia del Sistema Penitenziario (promosso dal Dipartimento di Giurisprudenza, Economia e Scienze Umane insieme al Garante); o la sottoscrizione di un protocollo d’intesa per la valutazione delle istanze, specie, in tema di colloqui anche telefonici, fra le persone detenute ed i loro familiari, avanzata dai rappresentanti dell’ANM; o, ancora, la possibilità, finalmente, di avviare il lavoro in carcere in maniera strutturale, anche per le detenute donne, magari attraverso l’attivazione della “Bottega di Michelangelo”, il laboratorio di marmi mai entrato in funzione, e rispetto al quale il Provveditore Parisi ha dato la più ampia disponibilità. Insomma un incontro davvero proficuo, oltre che autenticamente umano. Un incontro che comincia a scardinare quel muro che un detenuto ha definito “invisibile” e che separa i detenuti ed il resto della società. Un muro che, al contrario, un altro giovane detenuto vuole abbattere, cambiando vita: “io ho sbagliato tante volte nella mia vita” – ha detto recitando a memoria una lettera idealmente inviata ai suoi coetanei – “perché non ho voluto e non ho saputo dare ascolto a chi mi diceva che con il mio atteggiamento avrei fatto una brutta fine. E quella brutta fine poi l’ho fatta davvero finendo in carcere e rimanendoci per diversi anni. Fra poco finirò la mia detenzione. Ora qui sto lavorando e spero che quando uscirò potrò trovare un lavoro onesto e riprendermi gli anni che il carcere mi ha tolto. Eppure il carcere mi è servito. Qui ho capito di avere sbagliato. Voglio cambiare vita. Non commettete anche voi il mio stesso errore”. I tanti e profondi interventi che si sono alternati, in particolare da parte dei diversi magistrati intervenuti, purtroppo, per evidenti ragioni, non possono essere riportati. Ragion per cui si segnala per tutti l’intervento del dott. Gerardo Dominijanni, quale Presidente dell’ANM di Reggio Calabria. Vale comunque la pena di evidenziare che tutti i partner del progetto hanno partecipato sentendosi coinvolti e partecipi di un’iniziativa davvero arricchente, tanto professionalmente che umanamente. Il “muro invisibile” evocato dal detenuto, ora, pare farsi sempre più visibile, nel tentativo risoluto di cominciare ad abbatterlo.

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