“Nulla quaestio sulla decisione di aderire alla ‘modaiola’ (mi si passi il termine) iniziativa della cosiddetta disobbedienza civile, locuzione che se dovesse essere analizzata alla lettera sarebbe già una contraddizione. Niente da dire sul percorso intrapreso da alcuni sindaci italiani, compreso quello di Reggio Calabria, perché l’eventuale violazione di un decreto (che confidiamo ispirata da veri motivi umanitari e non da mero calcolo propagandistico, ma comunque contra legem) comporta conseguenze e responsabilità personali che vanno oltre le proprie convinzioni. Tralasciando, quindi, la visone puramente legale della vicenda, vi sono delle sfaccettature che andrebbero invece analizzate e contestualizzate. Che il primo cittadino voglia difendere ‘principi costituzionali e di accoglienza’ è sacrosanto, sebbene la stessa magnanimità l’avremmo voluta registrare anche nei confronti dei reggini e dei residenti in città di cui si sente sindaco solo in parte (come ha tenuto a precisare nel messaggio augurale per il nuovo anno) e di coloro, di qualunque etnia, che vivono in difficoltà e si scontrano con disservizi di ogni genere. Parliamo, appunto, dei famosi diritti basilari che, secondo i sindaci, il decreto sicurezza viola, ma che, oggettivamente, vengono ogni giorno, nei nostri territori, calpestati a prescindere dalla provenienza di chi dovrebbe usufruirne. Tornando alla questione migranti, in questi anni abbiamo registrato migliaia di arrivi al porto dove è sempre scattata una macchina solidale congiunta tra operatori, cittadini e istituzioni che ha mantenuto alta la tradizione di accoglienza della nostra Reggio e ha potuto garantire il primo soccorso, un rifocillamento iniziale, proprio perché nessuno si schiera contro chi soffre, ma solo contro chi imbastisce business e schiavismo. Ma dopo? La questione, infatti, è sempre stata al centro del dibattito: qualche anno addietro lo stesso sindaco, a margine di una riunione Anci, lamentava che il comune non avesse più ‘risorse né economiche, né logistiche per l’emergenza sbarchi’ e ancora chiedeva abbassamento dei tributi per i comuni che accolgono. Superando, però, le vicende legate agli sbarchi, in riferimento al divieto di iscrizione anagrafica per i richiedenti asilo (così sbandierato dai sindaci), è da evidenziare, sebbene in maniera sintetica, che chi si trova in status di protezione internazionale può accedere al Siproimi e beneficia delle misure di integrazione, mentre chi ha già ricevuto un permesso umanitario continua a rimanere legittimamente nel territorio e rimane iscritto all’anagrafe fino alla scadenza del titolo e anche successivamente, potendo convertire quest’ultimo in permesso di lavoro o per ricongiungimento familiare o, comunque, ottenere uno dei permessi speciali. In più durante la fase tecnica di esame dell’istanza, al richiedente asilo (pur non essendo più iscritto all’anagrafe della popolazione residente in base alle nuove norme) continuano a essere assicurati gli stessi servizi di accoglienza e di assistenza, le cure mediche e i servizi scolastici per i minori. Qual è quindi il motivo di tale presa di posizione? Semplice: è cambiato il Governo e perciò la ‘disobbedienza’, pur senza strumenti adatti alla tutela di chi arriva, è una strada più conveniente soprattutto con l’avvicinarsi di scadenze elettorali e i sondaggi poco lusinghieri! Solidarietà a tutti i costi o volontà di rinnovare, a livello nazionale, il proprio protagonismo politico, e quello della coalizione di centro sinistra in un momento che definire poco brillante sarebbe riduttivo?”.
Tilde Minasi