Credi che il web sia libero? No! E’ sempre peggio, Italia tra le prime 20 nella censura

di Fabrizio Pace – In un mondo del web che ha necessariamente bisogno di nuove regole per rispettare la privacy, le libere espressioni senza però ledere il rispetto altrui ed i diritti umani è necessario capire quale è l’attuale grado di libertà espressiva al fine di valutare eventuali accorgimenti applicabili. E’ notizia di questi giorni che addirittura il Governo italiano  in carica, quello giallo-rosso per capirsi, ha anche proposto un inasprimento delle sanzioni ed un controllo\censura più elevato dalle autorità preposte, giustificando questo nuovo provvedimento con la necessità di arginare l’odio in rete e gli haters di professione.

Ci si aspetterebbe quindi che, in questo preciso momento storico, anno 2019,  ci si trovi in una specie di giungla virtuale senza regole e soprattutto senza controlli. Ma non è assolutamente così, i controlli e le sanzioni esistono già!

Riportiamo qui una serie di dati raccolti in un articolo del collega Paul Bischoff  che affronta il problema della libertà nel web. I governi degli stati di tutto il mondo, in questi anni, hanno esponenzialmente aumentato il controllo\censura dei contenuti che sono stati immessi dagli utenti sul web. Se, come si potrà evincere dai dati, da un lato è anche un fenomeno comprensibile dall’altro non passerà inosservato che è anche una forma di indirizzo e di che ogni governo esercita sui propri abitanti, che subiscono spesso inconsciamente il tutto.

Ovviamente sono presi in esame, nel rapporto pubblicato da Comparitech nell’articolo “Which government censores on line data the most?” i dati forniti da alcuni (non tutti, molti non li rendono noti, i colossi del web: Google, Facebook, Twitter, Microsof, Twitter e Wikimedia. In una ipotetica classifica globale degli stati che censurano di più nei primi 20 posti abbiamo (come si può bene vedere nella classica qui la lato: India, Russia, Turchia, Francia, Messico, Brasile, Germania, Pakistan, Stati Uniti, Regno Unito, Israele, Corea del Sud, Cina, Italia, Austria, Giappone, Vietnam, Thailandia, Spagna e Argentina. Le cifre della tabella, qui a lato,  non sono altro che le richieste di cancellare contributi che i paesi hanno avanzato nei confronti dei motori di ricerca o dei Social-network già citati. I  motivi principali della rimozione sono la sicurezza nazionale (ma sotto questa voce si possono raccogliere le voci più disparate), la diffamazione e regolamentazione di determinati beni e servizi. Le varie agenzie governative citano spesso in cause legali i colossi del web che preferiscono comprensibilmente eliminare i contributi in questione anzicchè valutare  caso per caso. Forse Facebook è in alcuni casi è il più restio tra tutti, in quanto si rifà ad un regolamento interno, che prevede determinate casistiche di violazioni. I dati  dello studio\ricerca, anche se variano, da paese a paese, devono fare riflettere circa la necessità che vengano rimossi o diffusi dei contenuti in maniera arbitraria o meglio in modo molto differente tra i vari stati. Sembra anche strano che a censurare di più siano paesi di prima fascia. Come quasi a considerare necessario un determinato tipo di controllo sui propri cittadini. L’italia si attesta al quattordicesimo posto, sicuramente un piazzamento “severo”.

Alla luce di questo dato sembrano inutili le attuali polemiche per tentare di inasprire sanzioni e controlli sul web e sui social, provvedimento che qualcuno nell’attuale governo vorrebbe attuare. Addirittura scorrendo i dati del 2018, (avevamo già trattato l’argomento nell’articolo “Libertà in rete 2018: i Governi controllano sempre più il web ” ) si può tranquillamente notare come la censura sia stata allargata ad altri argomenti e settori anche più invasivi della vita quotidiana. Non sono più solo i blog, cioè gli spazi virtuali che i grandi colossi mettono a disposizione degli utenti per condividere in rete foto, scritti, opinioni ad essere attenzionati dai governi ma anche e soprattutto i contributi multimediali, video\audio. Sicuramente un screening attento va fatto perchè in questi anni soprattutto il terrorismo si è alimentato con i contributi del web anche se in questo caso era ed è molto più usato il dark web.

Una soluzione per non creare discriminazione tra gli utenti mondiali, sarebbe un’agenzia internazionale che creasse delle netiquette, ovvero delle regole per il web, universalmente valide. Riusciranno i grandi della terra a mettere i loro interessi da parte per favorire la libera ed uguale circolazione dei contributi sul web? Tale soluzione eviterebbe la discrezionalità dei governi sui dati scambiati o visualizzati a latitudini differenti, ponendo un serio limite anche alla censura ad hoc.

 

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About the Author: Fabrizio Pace

Fabrizio Pace è giornalista e direttore del quotidiano d’Approfondimento on line www.IlMetropolitano.it e dell’allegato magazine di tecnologia e scienza www.Youfuture.it.