
«Un neonato rappresenta il convincimento di Dio che il mondo debba continuare». Incrociando le parole del poeta Carl August Sandburg con le statistiche più recenti, si finisce col persuadersi inevitabilmente che l’Italia abbia poca strada davanti a sé. L’Annuario Istat pubblicato nei giorni scorsi ha certificato, in merito, che nell’ultimo decennio il numero medio di figli per donna è passato da 1,45 a 1,29. Inoltre, nel 2018 il numero dei morti ha superato di 193.386 unità quello dei nati. Siamo dunque un Paese a crescita inferiore allo zero, che di questo passo non potrà reggere a lungo. La soglia di emergenza, probabilmente, è stata già superata: rispetto al passato, chi oggi è povero o vive in contesti arretrati ha meno figli. Le nascite, per contro, si concentrano nelle aree più ricche, caratterizzate da redditi alti e servizi diffusi. Ma per due terzi della sua consistenza la denatalità è dovuta a ragioni strutturali quali la voglia di ricerca professionale, la tendenza a rimandare l’entrata nella vita adulta e la precarietà economica. Condizioni che s’intrecciano con l’assenza di sostegni pubblici alle famiglie e con gli effetti negativi di una tendenza culturale che negli ultimi anni, nella rincorsa all’individualismo quale sinonimo di (falsa) libertà, ha contribuito a ridurre la genitorialità a prospettiva sempre più al di fuori della famiglia, intanto circoscritta nel recinto della spiritualità privata. Eppure, i numeri dicono altro. Attestano, per esempio, che la crisi della natalità non ha una dimensione solo personale, bensì fortemente collettiva. Chiaro, in proposito, il Presidente della Repubblica davanti al Forum delle associazioni familiari: se il numero delle famiglie con figli si contrae, siamo di fronte ad un «problema che riguarda l’esistenza stessa del nostro Paese», e per tale ragione «va assunta ogni iniziativa per contrastare questo fenomeno». Una società senza figli, rileva papa Francesco nella Amoris laetitia, «è una società incapace di proiettarsi nel futuro». Per non lasciarsi sfuggire l’avvenire, allora, è tempo di tornare a coltivare la speranza nel domani, riscoprendo la bellezza della vita e dei bambini, come nella positiva testimonianza delle famiglie cristiane. Ma c’è pure bisogno di governi che mettano al centro dell’agenda politica la famiglia: le diverse misure allo stato disponibili, dal Family act all’assegno unico, potrebbero convergere in un piano per la natalità, insieme ad azioni idonee ad arginare i mali alla base del decremento demografico: debito pubblico elevato, “bonus” penalizzanti le famiglie con prole numerosa, sistemi fiscali che non compensano i maggiori costi sostenuti da queste ultime. Serve insomma una svolta, come altrove già avvenuto. L’essenziale è considerare ogni bimbo non una proprietà (ed un onere) dei genitori, ma un bene comune del Paese: i figli, come scrive Khalil Gibran, «non sono figli tuoi. Tu li metti al mondo ma non li crei. Sono vicini a te, ma non sono cosa tua. Perché la loro anima abita nella casa dell’avvenire, dove a te non è dato di entrare, neppure col sogno. Tu sei l’arco che lancia i figli verso il domani».
+ Vincenzo Bertolone