
E con loro si schiera la ministra per la Famiglia
di Peppe Giannetto – Ai tempi del coronavirus l’unico permesso del Governo è il sì alle cerimonie funebri ma solo con 15 familiari. Il risentimento dei vescovi, non si è fatto attendere con un comunicato mai così duro: «Con questa direttiva si viola l’autonomia di culto in Italia».
È duello fra le diocesi italiane e il Premier Conte sul fatto che il Dpcm per la fase 2, illustrato ieri sera, vieta anche dopo il 4 maggio il no alle messe alla presenza dei praticanti, su cui invece la Chiesa italiana aveva preteso una riapertura pur onorando i vincoli di sicurezza anti-contagio. Una eccezione ammessa dall’esecutivo riguarda solo la celebrazione dell’esequie, cui potranno intervenire un massimo di 15 persone e solo i consanguinei più stretti. Il mantenimento ostile alle liturgie con i fedeli non è stato accettato alla CEI, che ieri sera ha immediatamente diffuso un durissimo messaggio manifestando «il disaccordo dei vescovi», in cui si richiama perfino alla profanazione della «libertà di culto». «I vescovi italiani non possono accettare di vedere compromesso l’esercizio della libertà di culto. Dovrebbe essere chiaro a tutti che l’impegno al servizio verso i poveri, così significativo in questa emergenza, nasce da una fede che deve potersi nutrire alle sue sorgenti, in particolare la vita sacramentale», afferma la Conferenza Episcopale Italiana.
«Per quaranta giorni» – compresa la Settimana Santa di Pasqua – i vertici della CEI hanno tenuto duro, «per senso di responsabilità», nonostante le pressioni che con il passare delle settimane venivano «dal territorio, sia chiaro: non stiamo chiedendo un “liberi tutti”, sarebbe irresponsabile», si chiariva ancora pochi giorni fa»
«Sono allo studio del governo nuove misure per consentire il più ampio esercizio della libertà di culto»: la replica di Luciana Lamorgese, ministra dell’Interno, nell’intervista rilasciata il 23 Aprile al giornale Avvenire dopo un’interlocuzione continua tra la CEI, il ministero e la stessa presidenza del Consiglio», protesta la CEI. «Un’interlocuzione nella quale la Chiesa ha accettato, con sofferenza e senso di responsabilità, le limitazioni governative assunte per fare fronte all’emergenza sanitaria. Un’interlocuzione nel corso della quale più volte si è sottolineato in maniera esplicita che – nel momento in cui vengano ridotte le limitazioni assunte per far fronte alla pandemia – la Chiesa esige di potere riprendere la sua azione pastorale», continua. «Ora, dopo queste settimane di negoziato, il Dpcm pubblicato esclude arbitrariamente la possibilità di celebrare la Messa con il popolo», attacca il comunicato dei vescovi. «Alla presidenza del Consiglio e al Comitato tecnico-scientifico si richiama il dovere di distinguere tra la loro responsabilità – nel dare indicazioni precise di carattere sanitario – e quella della Chiesa, chiamata a organizzare la vita della comunità cristiana, nel rispetto delle misure disposte, ma nella pienezza della propria autonomia», conclude Conferenza Episcopale Italiana. Dal provvedimento del Governo, su cui ha chiaramente pesato la strategia del Comitato tecnico scientifico, si dissocia prendendone le distanze anche la ministra per le Pari opportunità e la Famiglia, Elena Bonetti: «Non posso tacere di fronte alla decisione incomprensibile di non concedere la possibilità di celebrare funzioni religiose», afferma all’Ansa. «Non ho mai condiviso questa decisione e non credo ci assolva riferirci alla rigidità del parere del comitato tecnico scientifico, attacca la ministra, sta alla politica sorvegliare il benessere totale della Nazione, e l’indipendenza religiosa è tra le nostre libertà fondamentali. Questa decisione toglie ai cittadini della libertà di vivere in comunità la dimensione della liturgia. Avremmo potuto farlo in pieno rispetto delle regole di sicurezza necessarie».