Non vorremmo che dalla Cina avessimo silenziosamente importato in Italia, oltre e insieme al virus, anche un regime comunista illiberale

di Peppe Giannetto – Il “dietro le quinte” troppo segreto delle decisioni del governo Tutti conoscono i provvedimenti assunti dal Presidente del Consiglio dei Ministri per avversare la propagazione della pandemia. Tutti conoscono, anche perché ci è stato reiterato all’infinito, che le dolorose decisioni emergenziali sono state adottate sulla base dei dati ottenuti dal comitato tecnico scientifico di alto profilo e delle valutazioni dallo stesso fatte nelle opportune relazioni. Tutti concordano, anche, sulla esigenza della chiarezza nell’agire delle autorità pubbliche ma anche al diritto civile e politico del cittadino a essere attivamente aggiornato durante l’intero processo politico e decisionale per consentirgli la partecipazione democratica alla discussione pubblica. Le polemiche di oggi sui rischi che derivano da una informazione strangolata, distorta o intempestiva dell’operato di governi assolutistici come la Cina, sono la migliore e più attuale prova dell’opportunità che i Governi agiscano, con piena ed assoluta visibilità e non con il favore dell’oscurità, sulla base di elementi e valutazioni accessibili alla globalità dei cittadini e, come tali, assoggettabili alla discussione pubblica per analizzarne credibilità e omissioni. Sbalordisce, quindi, che il Governo italiano oggi non permetta ai cittadini di sapere il contenuto dei rapporti tecnico scientifici del comitato di esperti sull’emergenza corona virus e, quindi, non acconsenta su di esse un dibattimento pubblico, libero ed informato.

Le relazioni, anzitutto, non sono trovabili nei molteplici siti web governativi riservati alla regolamentazione dell’emergenza. Fatto, questo, di per sé “inquietante”, visto che sulla base di tali relazioni sono state adottate risoluzioni di estrema complessità ed importanza per l’esistenza della collettività, della cui costituzionalità e legittimità ancora si discute, e che, per questo motivo, dovrebbe essere interesse prioritario di chi ha adottato quelle determinazioni, quello di dare compiuta e completa spiegazione dei motivi che lo hanno portato ad attuare scelte per molte persone, abbastanza funeste. Perfino, poi, su un’ufficiale istanza proposta da alcuni avvocati in data 16/04/2020, il Dipartimento della Protezione Civile ha negato, con provvedimento del 04/05/2020, l’accesso a quegli atti sostenendo che le relazioni del comitato tecnico scientifico, pur specificamente richiamate in tutti i Decreti dell’emergenza adottati del Presidente del Consiglio dei Ministri, sono considerati documenti protetti da “segreto” e, comunque, non accessibili al pubblico. E non è stata la replica di un dirigente o di un anonimo burocrate troppo zelanti, perché il documento è firmato proprio dal capo del Dipartimento della Protezione Civile, la persona delegata dal Governo alla gestione dell’emergenza con l’autorizzazione di muoversi “in deroga a ogni disposizione vigente”. Le motivazioni del rifiuto appaiono essere lecitamente a norma di legge poco convincenti e verrà presentato contro tale provvedimento un ricorso al Tar, con il patrocinio volontario di alcuni avvocati da tempo impegnati nella difesa dei diritti civili. Qualunque sia il riscontro che darà l’autorità giudiziaria resta fortissima la sensazione di malessere e fastidio nel sapere che in Italia il dibattito pubblico, su basi tecniche e scientifiche che hanno portato all’emanazione di provvedimenti che hanno sconvolto la vita degli italiani, addirittura sia impedito dalle pubbliche autorità.

Ci piace, in questo triste contesto, menzionare, le parole di John Stuart Mill, che “le idee valide vengono rafforzate e rifinite dall’opposizione e dal controllo pubblico ….. il vero male della censura sta nel decidere la verità per altri, impedendo che l’intera gamma di opinioni e pareri venga ascoltata” e che la stessa libertà di stampa, in una celebre opinione della Corte Suprema degli Stati Uniti, “è importante solo in quanto essa serve con assiduità il diritto del pubblico a conoscere”. E non vorremmo che dalla Cina avessimo silenziosamente importato in Italia, oltre e insieme al virus, anche un regime comunista illiberale o, se si preferisce, di “capitalismo autoritario”, per usare l’espressione di un autorevole uomo politico, convinto sostenitore del diritto alla conoscenza, che, pur censurando l’operato del governo cinese, si è trovato in imbarazzo nel definirlo semplicemente “comunista”.

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