La deflagrazione nelle toghe: la spaccatura nell’ANM e le dispute sugli atti di Perugia

di Peppe Giannetto – Il vero e proprio tsunami che sta travolgendo la magistratura italiana dopo la “bufera” Palamara obbliga ad una controproposta tempestiva delle istituzioni, ne va della credibilità della magistratura, a cui il nostro Stato di diritto sicuramente non può abdicare. Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, scampato pochi giorni fa alle due mozioni di sfiducia, finalmente interviene per comunicare che non resterà fermo a guardare gli stracci che volano tra Area e Unicost le correnti che hanno fatto andare in crisi i vertici dell’Anm, con il presidente Luca Poniz e il segretario Giuliano Caputo che si sono dimessi dopo neppure un anno di mandato.

Bonafede afferma che già da questa settimana schiaccerà il piede sull’acceleratore per la trasformazione e la riorganizzazione del Consiglio Superiore della Magistratura riprendendo un ragionamento rimasto pendente e che adesso «non può più aspettare». Sulla riorganizzazione, la maggioranza e l’opposizione avevano già trovato un’equilibrata ed apprezzabile convergenza poco prima che esplodesse la pandemia.  Per dissipare tutte le ombre e le opacità è urgente intervenire con la riforma del CSM, dopo la pubblicazione delle recenti intercettazioni dalle chat che hanno portato a dimissioni pesanti nel ministero della Giustizia, al centro del progetto ci dovrà essere un nuovo impianto elettorale liberato dalle degenerazioni del correntismo con l’individuazione di meccanismi per giungere a nomine ispirate «soltanto al merito».

Forse è arrivato finalmente il momento per la «netta separazione tra politica e magistratura con il blocco delle cosiddette, porte girevoli». Sono riforme delle quali si parla da sempre, dai tempi dei processi a Berlusconi ed oggi ancora di più per i contenuti delle conversazioni tra magistrati, da cui emergono durissimi attacchi a Matteo Salvini, leader della Lega, nell’imminenza del processo e accusabile di sequestro di persona aggravato per il caso Diciotti e che ora non sono più procrastinabili. Occorre che l’emiciclo di Montecitorio e di Palazzo Madama non si separino ma anzi devono compattarsi, perché «non sono da considerare norme contrò la magistratura ma a garanzia della stragrande maggioranza dei magistrati che ogni giorno con passione e competenza operano per la tutela dei cittadini». Pensando a loro, che non meritano assolutamente di essere trascinati in un ciclone di contese con lo scopo a fare di tutta l’erba un fascio. Bisognerà non alimentare diatribe tra maggioranza e opposizione ma si dovrà risolvere i problemi con i fatti. Queste saranno giornate ad alta tensione per l’Associazione Nazionale Magistrati che deve cercare di ricostituire la governance delle toghe – andata in tilt per le note vicende – traghettando il sindacato di giudici e pubblici ministeri verso le imminenti votazioni.

Il contraddittorio nel Comitato direttivo centrale sarà pesante e in salita, in sella è rimasta solo Autonomia e Indipendenza di Piercamillo Davigo, mentre Area e Unicost si scambiano “complimenti” e portano alla luce un’ostilità divenuta deflagrante ogni giorno di più, al ritmo giornaliero delle intercettazioni. Area, la corrente riformista e innovativa dei magistrati, ha spiegato di aver buttato la spugna perché Unicost ha fatto un passo indietro sulla questione etica che ha travolto il CSM quasi un anno fa. Unicost, corrente equilibrata, è invece esplosa ribadendo di non essere più disposta a stare sotto tutela e biasimando Area di non aver fatto anche lei un’imprescindibile autocritica, oltre a non aver preso le distanze dalla «campagna di melma» di questi giorni. Questo è il momento di fare per il bene della magistratura, c’è bisogno che tutti i magistrati facciano uno sforzo collettivo per salvaguardare, senza tatticismi e con grande senso di responsabilità, una presenza prestigiosa ed importante dell’Anm in una fase disapprorevole come quella odierna, per la credibilità di tutta la magistratura.

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