L’omelia del Vescovo Mons. Francesco Savino per la XXIV Domenica del Tempo

La richiesta di perdono a Dio non può mai essere disgiunta dal perdono fraterno: lo ascoltiamo oggi nella prima lettura e nel Vangelo, lo ripetiamo anche nella preghiera del Padre Nostro: “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori” (Mt 6,12). Perché, è ancora Gesù stesso che lo dice, “Se voi perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi, ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe” (Mt 6,14-15). La liturgia giudaica afferma che, nel giorno dell’espiazione e del perdono (Yom Kippur), vengono perdonati i peccati commessi contro Dio a condizione che siano risolte nella pacificazione le trasgressioni commesse tra uomo e uomo: “Yom Kippur procura il perdono solo se uno prima si è rappacificato con il proprio fratello” (Luciano Manicardi). Alla domanda di Pietro sulla misura del perdono verso il fratello “Signore, se mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?”, Gesù risponde: “Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette”. Nel vangelo di Matteo, a conclusione del quarto discorso definito ecclesiale o comunitario perché contiene orientamenti per la vita dei discepoli, Gesù, dopo aver puntualizzato l’importanza fondamentale della correzione fraterna (cfr. Mt 18,15-20), risponde con un’espressione iperbolica per affermare che il perdono è smisurato, è per sempre, è frutto dell’azione dello Spirito Santo che opera in noi la misericordia di Dio. Nella vita della chiesa, dobbiamo dichiarare onestamente e confessare  che facciamo fatica a perdonare. La parabola che Gesù racconta rivela,   alza il velo su Dio e la Sua azione, come tutte le Sue parabole. Un re vuole fare i conti con i suoi servi e gli viene presentato un tale che gli deve restituire diecimila talenti, cento milioni di denari, cifra enorme e impossibile da rimborsare per un servo. “Di fronte alla prospettiva della vendita dei suoi familiari come schiavi e della prigione per sé, quest’uomo si inginocchia davanti al re e lo supplica: Sii grande di animo con me (sii paziente con me, makrothýmeson) e ti restituirò ogni cosa (ciò che è impossibile!). Di fronte a tale disperazione e sofferenza il re, mosso a viscerale compassione (splanchnistheís), preso cioè da un sentimento di misericordia, lo lascia andare e gli condona il debito”.(Enzo Bianchi). Questo servo, salvato con tutta la sua famiglia, esce libero per vivere con libertà le sue relazioni. Ma ecco l’inverosimile: incontra un altro servo, debitore nei suoi confronti di una cifra modesta, appena cento denari.  Ma, appena lo vide, “lo prese per il collo e lo soffocava” dicendogli: “restituisci quello che devi”. Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: “abbi pazienza con me e ti restituirò quanto ti devo”. Il servo condonato e perdonato non accettò e lo fece gettare in prigione fino alla restituzione del debito. La differenza di comportamento tra i due creditori risalta quando il re viene a sapere dagli altri servi come si è comportato il servo da lui perdonato, lo fa chiamare e gli dice: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?”. Ecco rivelato il fondamento di ogni azione di perdono: l’essere stati perdonati. Il cristiano sa di essere stato perdonato dal Signore con una misericordia gratuita e preveniente, sa di aver beneficiato di una grazia insperata, per questo non può non perdonare i debitori verso di lui. Gesù non parla di quante volte si deve perdonare, ma ci richiama a riconoscere che siamo perdonati per perdonare. Chi non perdona l’altro senza calcolare le volte in cui lo fa, e non lo fa con tutto il cuore, non riconosce il perdono che ha ricevuto. Dio perdona gratuitamente, il suo amore non è meritato ma è da accogliere come dono da diffondere. A commento della conclusione della parabola “Il padrone lo diede in mano agli aguzzini finché non avesse restituito tutto il dovuto”, Gesù dice: “Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello”. Il perdono di Dio non ci raggiunge se non perdoniamo a nostra volta chi ci ha fatto del male. Così invochiamo la misericordia di Dio nel Padre Nostro: “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Nella Chiesa dove “nessuno vive e muore per se stesso” (Rm 14,7) il perdono trova la sua “casa” ed è sempre una festa. Chiediamo al Signore che il Suo Spirito ci renda trasfigurati dal Suo perdono e capaci di trasfigurare il mondo con la Sua misericordia.
Buona Domenica.

Francesco Savino

testi biblici (Sir 27,30-28,9; Sal 102; Rm 14,7-9; Mt 18,21-35)

fonte  –  http://www.calabriaecclesia.org/Pages/NewsDetail/11099/L’omelia_del_Vescovo_Mons_Francesco_Savino_per_la_XXIV_DOMENICA_DEL_TEMPO

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