Roma. Operazione Cardè. Dalle violenze del “Roxy bar” alle estorsioni aggravate dal metodo mafioso

Arrestati 6 appartenenti al clan Casamonica/Di Silvio

Alle prime ore di questa mattina, personale del Servizio Centrale Operativo, della Squadra Mobile di Roma e del Commissariato di PS “Romanina”, coadiuvato dal Reparto Mobile, dal Reparto Prevenzione Crimine e dalle Volanti dell’U.P.G.S.P., ha dato esecuzione a un’Ordinanza di Custodia Cautelare in Carcere emessa dal G.I.P. del Tribunale di Roma, su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia, nei confronti di:  DS. E.; DS. A. classe ’55; DV. S., classe ‘62; DS. A. detto “er mortadella”, classe ‘67; DS. A.  detto “Augù”, classe ‘70; C.I., classe ’70

ritenuti responsabili, a vario titolo, di tentata estorsione ed estorsione aggravate dal metodo mafioso, spaccio di sostanze stupefacenti, usura ed esercizio abusivo dell’attività finanziaria.

Tra i destinatari dell’odierno provvedimento restrittivo, tutti legati da vincoli di parentela, è presente anche DS. E., già condannato in via definitiva nell’ambito del procedimento penale relativo alle note vicende del “Roxy bar”. L’odierna operazione, denominata “Cardè” (termine sinti con il quale viene indicato il denaro), è frutto dell’attività d’indagine svolta a seguito del cruento episodio avvenuto il 1° aprile 2018, quando all’interno del “Roxy Bar”, sito nel quartiere Romanina, precisamente in via Barzilai, si verificava una violenta aggressione ai danni del titolare dell’esercizio commerciale e di una donna portatrice di handicap che aveva “osato” prendere le sue difese, perpetrata da C.A. (classe 92), DS. A. (classe 96), DS. V. (classe 90). Le indagini svolte in quella circostanza consentirono non solo di individuare i predetti soggetti quali autori delle violenze ma, altresì, di accertare una serie di soprusi subiti nel corso del tempo dai gestori dell’esercizio commerciale, e una reiterata attività intimidatoria, posta in essere anche dal E. DS.  nonno di V. e A., finalizzata a convincere le vittime a non presentare o ritirare la denuncia nei loro confronti.

Le condotte criminose in quella circostanza hanno rappresentato una evidente ostentazione del potere dei CASAMONICA/DI SILVIO su un territorio che considerano sottoposto al loro dominio, come chiaramente rimarcato da uno degli aggressori (“qua comannamo noi”, “non ti scordare che questa è zona nostra). Non solo, la loro azione di forza tesa a garantire l’omertà e la reticenza dei numerosi avventori -rimasti inermi- presenti all’interno del bar, doveva fungere anche da monito per gli altri abitanti del quartiere, con conseguente assoggettamento degli stessi alla loro supremazia. La configurabilità dell’aggravante mafiosa per i reati perpetrati durante il raid al “Roxy bar” è stata non solo riconosciuta dal Giudice per le Indagini Preliminari in sede di applicazione di misure cautelari, eseguite l’8 maggio 2018, ma altresì confermata in primo grado e, successivamente, in sede di gravame. Infatti, i fratelli A. e V. DS. e il nonno E. in prima battuta sono stati condannati, con rito abbreviato, poiché ritenuti responsabili, a vario titolo, dei reati di violenza privata, lesioni e minacce, aggravati dal metodo mafioso. Le condanne (S. A.: 4 anni e 10 mesi di reclusione; DS. V. : 4 anni e 8 mesi di reclusione) poi sono state confermate in appello, con una rideterminazione della pena nei soli confronti di E. DS. (2 anni e 11 mesi di reclusione).

Stessa sorte è toccata a C.A., giudicato con rito ordinario, la cui condanna, per lesioni e violenza privata aggravate dal metodo mafioso, è stata confermata dalla Corte di Appello di Roma, con la rideterminazione della pena ad anni 6 di reclusione, ed è divenuta definitiva con la pronuncia della Corte di Cassazione. A seguito dell’esecuzione delle ordinanze cautelari relative all’episodio del Roxy Bar, le indagini sono proseguite e si sono focalizzate sugli altri componenti delle famiglie, CASAMONICA/DI SILVIO, tutti residenti nel quartiere Romanina, tra via Devers e via Barzilai. Le attività tecniche poste in essere hanno consentito di raccogliere una serie di elementi idonei a configurare ipotesi delittuose tipiche del clan CASAMONICA – DI SILVIO, come l’usura e il traffico di sostanze stupefacenti.

In particolare, le indagini hanno consentito di acclarare che i coniugi C.I. e DS. A. (genitori di DS. A.  e V.) svolgevano quotidianamente attività di spaccio di sostanza stupefacente del tipo cocaina. Le cessioni effettuate nei confronti di numerosi clienti avvenivano all’interno o nei pressi dell’abitazione dei coniugi CASAMONICA/DI SILVIO, previ accordi telefonici caratterizzati dall’utilizzo di termini convenzionali quali “pane” e “ricette”. Era soprattutto C.I. ad occuparsi del confezionamento e della vendita dello stupefacente, mentre DS .A. oltre a mantenere i contatti con i fornitori, svolgeva anche il ruolo di “vedetta” in strada. Nell’ambito dell’attività di spaccio sono emerse altresì condotte estorsive, poste in essere dalla CASAMONICA e dal cognato DS. A. detto “Augù”. A seguito degli arresti connessi ai fatti del “Roxy Bar”, C.I. infatti aveva preteso da un abituale “cliente” somme di denaro per sostenere le spese legali dei figli detenuti. Sfruttando la soggezione psicologica in cui lo stesso versava, la donna con larvate minacce -consistite nel riferire alla vittima che se avesse voluto mantenere rapporti “pacifici” con la famiglia CASAMONICA avrebbe dovuto contribuire alle suddette spese- era riuscita a estorcergli del denaro. Inoltre, a causa del mancato pagamento dei debiti maturati per l’acquisto dello stupefacente, la vittima veniva esplicitamente minacciata attraverso un messaggio lasciato sulla segreteria telefonica da un uomo individuato in DS. A. detto “Augù”:

che cazzo ti sei messo in testa aoooò…ma che ti dobbiamo veni a casa? Te dobbiamo venì a bussà a casa tua? Ao! Se domani mattina non vieni qua…te veniamo a casa…mò hai rotto il cazzo eh!”.

E ancora, la stessa C.I. intimidiva il proprio interlocutore con modalità tipicamente mafiose: “fa come vuoi…guarda tanto lo so dove stai a me non me interessa, a me non me interessa poi quello che succede … lo sai che te volemo bene, lo sai, lo sai bene”.

Anche in questo caso le condotte poste in essere dai citati indagati hanno integrato senza alcun dubbio gli estremi del “metodo mafioso” deducibile dalle espressioni utilizzate e dal contesto criminale in cui sono state pronunciate. Le sentenze pronunciate sui fatti che hanno anticipato quelli oggetto dell’odierna ordinanza di custodia cautelare hanno ben evidenziato l’egemonia territoriale delle famiglie CASAMONICA/DI SILVIO connessa alle loro intimidazioni, rivolte a chiunque osa contrastare il loro illecito operato, assurgendo “a padroni” del territorio. L’attività investigativa, inoltre, ha ulteriormente comprovato l’attività tipica dei CASAMONICA/DI SILVIO, ossia il prestito di denaro a tassi usurari e l’esercizio abusivo del credito. Infatti, l’usura si è rivelata la principale attività di DS.E., il quale ha continuato ad esercitarla, nonostante la sottoposizione agli arresti domiciliari per le vicende del Roxy Bar, con l’ausilio del genero DV.S.  – compagno della figlia A.- e del fratello DS.A., arrivando a pattuire interessi pari al 102,5% annuo e a chiedere in garanzia cambiali con importi ben superiori rispetto al capitale erogato. Le conversazioni intercettate hanno altresì consentito di far emergere come il duo DS. E. – DV. S. fosse dedito a prestiti di denaro erogati nei confronti di più persone, la cui totale reticenza -anche sulla sussistenza di tali “elargizioni”- non ha consentito di collegare la relativa restituzione delle somme a un tasso usurario. In particolare, era il DS. a versare ai richiedenti le somme e a gestire i “piani di rientro” dei prestiti, mentre il DV. – anche in considerazione dell’intervenuto arresto di E. –incontrava direttamente i debitori per riscuotere le rate.

 

fonte  – https://questure.poliziadistato.it/Roma/articolo/17335f9810034926c096625549

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