Meloni: No al salario minimo, meglio un intervento per diminuire le tasse

Il salario minimo è la retribuzione di base,  stabilita in un determinato arco di tempo, per i lavoratori appartenenti a categorie  lavorative differenti . È, in sostanza, una “soglia limite” di salario sotto la quale il datore di lavoro non può scendere. Si parla da diversi anni in Italia della scelta di affidare il compito di determinare il livello minimo di salario alla legge e non solo alla contrattazione collettiva, così come avviene oggi. Ma, nonostante vi siano state numerose proposte di disciplina del salario minimo,  finora nessuna è stata approvata, né ha trovato l’accordo tra le parti sociali.
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    foto di GNS

Il 15 Marzo 2023 sul tema è intervenuta, al Question Time alla Camera, anche il Premier Giorgia Meloni che ha chiuso ogni possibilità di introdurre il salario minimo in Italia con il suo Governo. “Il salario minimo non  è  la soluzione, serve tagliare  tasse sul lavoro “.

L’impulso a fare un passo in avanti sulla fissazione del salario minimo e sulla tutela dei lavoratori in Italia, così come in altre parti d’Europa, era arrivata dall’UE nel corso dell’estate 2022. L’UE, con la direttiva del 14 Settembre 2022 sul salario minimo ha chiesto agli Stati membri di garantire ai lavoratori – entro il 15 Novembre 2024 – stipendi adeguati .
I Motivi del “NO “
Nella mozione 1/00030 della Camera che affossa il salario minimo legale in Italia sono esplicitate anche le ragioni della scelta. Sebbene in Italia la questione sul salario minimo sia in discussione da tempo, le forze politiche del nuovo Governo ritengono che non sia lo strumento migliore per garantire condizioni dignitose di lavoro e di retribuzione per i seguenti motivi:
– il salario minimo non va ad incidere solo sul livello di retribuzione, per garantirlo si potrebbe rischiare di aumentare il costo del lavoro e i costi stessi degli appalti pubblici. Ciò metterebbe in difficoltà gli imprenditori e i datori di lavoro e aggraverebbe anche i conti dello Stato;
– l’introduzione di una retribuzione minima potrebbe avere un effetto inflazionistico sul mercato, dal momento che le imprese potrebbero riversare i maggiori costi del lavoro sui consumatori finali. La conseguenza sarebbe un ulteriore aumento dei prezzi dei prodotti commercializzati;
– l’Italia gode di una contrattazione collettiva che copre l’85% dei lavoratori. Secondo le attuali forze politiche al Governo, questo sistema garantisce una serie di misure che negli anni sono state introdotte a tutela dei lavoratori quali TFR, malattia, ferie, permessi, tredicesima, quattordicesima, previdenza complementare, sanità integrativa. Questo sistema “collaudato” in Italia, implica già in molti casi che i salari siano più alti di un’ipotetica soglia di minimo. Inoltre le paghe sono comunque comprensive degli istituti accessori di welfare e tutele citati;
– con la definizione per legge di un salario minimo si metterebbe a rischio il sistema della contrattazione collettiva, con il serio pericolo di favorire la tendenza alla diminuzione delle ore lavorate, l’aumento del lavoro nero, l’incremento della disoccupazione e l’aumento dei contratti di lavoro irregolare e dei contratti “pirata”. Con questa dicitura si definiscono quei contratti sottoscritti da sindacati minoritari e associazioni imprenditoriali, poco rappresentativi delle parti sociali, con l’obiettivo di costituire un’alternativa ai contratti collettivi nazionali cosiddetti “tradizionali”;
– il salario minimo potrebbe innescare una serie di conseguenze indesiderate. In particolare, nelle regioni meno produttive, un aumento così significativo dei salari potrebbe mettere a repentaglio la sopravvivenza di numerose imprese. A loro volta, queste aziende potrebbero essere costrette a tagliare posti di lavoro o a chiudere i battenti, contribuendo ulteriormente alla già preoccupante disoccupazione nelle aree più svantaggiate;
Un salario minimo uniforme, potrebbe disincentivare infatti gli investimenti nel Mezzogiorno e frenare lo sviluppo di nuove imprese, poiché i costi del lavoro diverrebbero meno competitivi rispetto a quelli delle regioni più produttive.
A queste motivazioni, si aggiunge anche il fatto che l’Europa ha autorizzato i Paesi a prevedere strategie alternative per garantire un salario adeguato ai lavoratori, senza porre l’obbligo di legiferare su una soglia minima. Opzione che il nuovo Governo porterà avanti entro i prossimi due anni, seguendo la timeline dettata da Bruxelles.
Miriam Sgrò

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