Bentornati (o benvenuti, se mi state leggendo per la prima volta) nel mio Diario di Viaggio 2k25 di una Pellegrina, in cui, come ormai avrete inteso allo sfinimento, vi racconto le avventure che ho vissuto durante lo svolgimento del mio Cammino di Santiago de Compostela.
Sino ad ora, oltre ad avervi illustrato alcuni aspetti personali e sociali di quest’esperienza che mi hanno particolarmente colpito (rintracciabili nel primo articolo, nel caso in cui ve li foste persi), vi ho raccontato le prime cinque tappe della Rotta Francese del Cammino, affrontate durante i miei primi cinque giorni di viaggio (qui, nel secondo articolo).
Oggi, come leggerete fra pochissimo, vedremo insieme la seconda metà di questo percorso, in cui, dopo alcune (dis)avventure ed un black-out nazionale, approderemo finalmente nella tanto attesa città di Santiago de Compostela con la sua imponente Cattedrale.
La scorsa volta ci siamo lasciati con la promessa di abbandonare le terre della Valle del Bierzo e di aprire le porte della Galizia, celebre regione del nord della Spagna, famosa per le proprie tradizioni e per i propri paesaggi montano-naturalistici. Ed è proprio la prima tappa di oggi, la numero 6, che ci accompagna in questa migrazione, conducendoci, in un modo o nell’altro, in terra Galiziana.
Tappa no6: VillaFranca del Bierzo – O Cebreiro, 28.4 km
Vi starete chiedendo perché ho appena scritto “conducendoci, in un modo o nell’altro, in terra Galiziana”… beh, cari lettori, ora avrete la vostra risposta.
Prima di iniziare a scrivere avevo intenzione di evitare queste parti della storia, saltando le cose negative per riservare a voi la gioia di poter conoscere ad ogni tappa luoghi lontani dal tempo e dallo spazio, dove i problemi della quotidianità sono lontani migliaia di chilometri. Ma non sarebbe giusto, perché facendo ciò scinderei il presupposto idillico di questo viaggio dal suo lato umano, strettamente connesso al nostro corpo e alle nostre imperfezioni, generando in voi un’immagine lontana dalla realtà. Pertanto, mi dispiace, ma il racconto di questa tratta sarà leggermente diverso dalle altre. Forse per alcuni di voi sarà deludente, ma magari per altri potrà essere confortante sapere che anche le storie di viaggio che leggiamo online non sono sempre perfette o lineari, poiché sono vissute da persone vere e non da robot creati in laboratorio con lo scopo di scrivere emozionanti guide turistiche.
Difatti, contrariamente a quanto ripromessoci ad inizio viaggio, il sesto giorno di pellegrinaggio abbiamo dovuto “barare” e percorrere la tappa con l’autobus. Purtroppo, dopo esserci svegliati con tutte le buone intenzioni ed avere percorso l’iniziale tratto che abbandona VillaFranca del Bierzo per inoltrarsi nei boschi delle montagne galiziane, abbiamo subito dei contrattempi fisici (aggiungerei perfettamente normali per un fisico che, diciamocela tutta, non è proprio quello di un’atleta o di un bodybuilder) che ci hanno costretto a fermarci e a spostarci con un mezzo che non fossero le nostre gambe. Il corpo ci chiedeva di fermarci e di prendere una pausa.
Se può interessare lo stesso, grazie ai racconti degli altri pellegrini, so che il sentiero che conduce al paesino di O Cebreiro è particolarmente impervio, dove si affronta una salita costante con un dislivello di 400 metri, per passare da valle ad una nuova cima di montagna. Tuttavia, i paesaggi che incontrerete sono assolutamente magnifici e non vi faranno pentire del sudore che avete buttato.
Questo ve lo posso confermare io stessa, poiché una volta scesi dal pullman, siamo rimasti stregati dal borgo di O Cebreiro. Si tratta di un caratteristico paesino di montagna, composto da meno di venti casette costruite in pietra con il tetto di paglia e che dà l’impressione di essere capitati in un racconto di fate. Ma ciò che colpisce di questo luogo non è solo la magia delle sue stradine, è anche la bellezza della natura in cui è immerso: i colori delle montagne (immaginate una tavolozza composta dal verde dei prati, dal bianco delle cime innevate e dal giallo dei fiorellini che impervi cercano di resistere), il silenzio della vita umana ed i suoni della vita naturalistica (chiudete gli occhi e provate a godervi il silenzio, spezzato solo dal cip cip degli uccellini, dal muu delle mucche e dal bee delle caprette… ecco, questo è quello che intendo).
Vorrei soffermarmi, però, anche su un altro aspetto che ha per me contraddistinto la tappa di oggi. Se c’è un insegnamento che ho potuto trarre da questa parentesi negativa è che, come si dice, “non tutto il male viene per nuocere” (passatemi il termine “male”, vi prego). Vi spiego, se quel giorno non fossimo stati costretti a mettere in pausa il nostro cammino per fermarci e prendere fiato, probabilmente non avremmo mai conosciuto sull’autobus un gruppo di persone fantastiche che poi nei giorni successivi sono state spesso nostre compagne di avventure.
Chi come noi aveva qualche acciacco fisico, chi aveva semplicemente bisogno di rallentare, eravamo tutti accomunati dalla nuova possibilità (rispetto ai giorni passati) di goderci anche le piccole cose come bere Cerveza sotto il sole e chiacchierare per ore senza pensare alla meta da raggiungere. Noi, Vito (un simpaticissimo ragazzo piemontese ormai da anni trapiantato a Roma), Laila (una tenace donna svizzera che a modo suo stava portando avanti il suo Cammino), Maggie (una dolce donna statunitense di origini messicane che cercava una via di evasione mentale dal proprio contesto geo-politico) e Javier (un divertente ragazzo spagnolo in grado di farti ridere solo con lo sguardo): un improbabile gruppo di pellegrini che, grazie ai propri inconvenienti, hanno incontrato delle persone che probabilmente ricorderanno per sempre.
Tappa no7: O Cebreiro – Triacastela, 21.1 km
Dopo questo epilogo sentimentale sui generis, per evitare che vi addormentiate davanti allo schermo, direi di tornare al nostro racconto avventuristico che, comunque, è giunto a più di metà.
La tappa di oggi, che dalla cima della montagna ci riconduce per un’ulteriore volta a valle (sono sicura che tutti questi sali-scendi letterari hanno stancato anche voi, per cui stavo pensando, se siete d’accordo, di creare una petizione per il Parlamento della Galizia in cui chiediamo di prendere una volta per tutte una decisione circa l’altitudine del Cammino di Santiago francese: o in montagna o in pianura, così da rendere le cose più agevoli per tutti…) si estende nel pieno del territorio galiziano, tra panorami di montagna, serre e boschi di faggi e castagni a volte anche centenari.
Il tempo oggi risponde al perfetto clima primaverile, con il caldo sole che ti accompagna durante l’arco della mattinata ed un piacevole venticello che ti rinfresca nel dopo-pranzo (maniera abbastanza poetica per dire che non si capisce assolutamente come vestirsi). Questo rende possibile l’ammirazione costante dei panorami mozzafiato che non smettono mai di presentarsi di fronte ai nostri occhi.
Sebbene la tappa non si possa definire tra le più complesse, anche per merito della sua relativa breve lunghezza, si tratta pur sempre di un passo di montagna, per cui è caratterizzata da un’alternanza abbastanza rigida di salite e discese, il che non lascia molto campo d’azione alle nostre ginocchia, per concludersi infine con una progressiva discesa verso il paesino di Triacastela. Differentemente rispetto a O Cebreiro, il nostro paesino di oggi è di costruzione più recente, oltre ad essere più grande e con maggiori confort; questo però fa perdere un po’ la sensazione di magico che aleggiava intorno a noi sino a quella mattina, facendoci tornare bruscamente nel XXI secolo.
Tappa no8: Triacastela – Sarria, 18.3 km
Prima di affrontare il percorso di oggi dovrete compiere una scelta, poiché la strada che conduce da Triacastela a Sarria, al termine del primo paesino, si sdoppia e segue due sentieri differenti. Il primo, il più antico ed originale, passa per il paesino di San Xil, ha una lunghezza di poco più di 18 km e segue il tratto della valle che separa i due centri urbani, passando soprattutto per boschetti, ruscelli e piccolissimi centri abitati; il secondo invece è un percorso alternativo, che passa per il paese di Samos, ha numerosi sali-scendi (dunque è un sentiero più elevato rispetto al precedente) ed è più lungo di 7.2 km, in compenso però passa per l’antico Monastero di Samos che dicono sia assolutamente da visitare.
Noi, però, nonostante l’attrattiva del Monastero, in maniera poco egoistica, abbiamo scelto la prima variante (ovviamente perché eravamo più attirati dai panorami della valle e non perché ci spaventavano i 7 km in più, mi sembra scontato…), optando per una passeggiata più tranquilla.
La breve lunghezza della tappa ci consente di svegliarci un po’ più tardi e partire verso le nove (il che, devo dire, non è stato del tutto disdegnato), con il sole già alto ma leggermente coperto dalle nuvole. Qualche chilometro dopo la partenza, a metà di una salita non troppo ripida che costeggia un ruscello, ci imbattiamo in una graziosa casetta in pietra, completamente immersa nel bosco, che scopriamo essere una piccola galleria d’arte.
Qui, un pittore inglese, che dopo aver percorso il Cammino nel 2006 ha deciso di vendere tutti i suoi beni in Inghilterra per trasferirsi lungo la Rotta Francese, dedica la propria vita alla realizzazione di opere d’arte a tema natura e Cammino di Santiago. Purtroppo, a causa della ristrettezza dello zaino, non abbiamo potuto acquistare un’opera da portare con noi, pertanto ci siamo accontentati di una cartolina realizzata a partire da un suo dipinto, che indirizzeremo poi ad una persona a noi cara.
Riprendiamo a malincuore la nostra camminata e dopo chilometri di colline, prati e pascoli di mucche e cavalli, raggiungiamo in breve tempo la città di Sarria.
Tappa no9: Sarria – Portomarín, 22.4 km
Siamo giunti finalmente agli ultimi 100 km che ci separano da Santiago de Compostela, che poi sono anche il numero minimo di chilometri richiesti al fine di ricevere la Compostela (ovvero il certificato ufficiale di realizzazione del Cammino di Santiago). Proprio per questo motivo, da questa tratta in poi, il numero di pellegrini che troverete lungo la strada cresce notevolmente e questo, devo ammetterlo in sincerità, rende la passeggiata un poco meno piacevole.
Comunque, mentre molti dei pellegrini iniziano il loro Cammino qui, noi è qui che ci siamo dovuti fermare (controvoglia) per una seconda volta. Per salvaguardarvi evito di entrare nei dettagli, dico solo che una spiacevole forma di virus ci ha reso impossibile camminare anche solo per un chilometro. Per la seconda, e si spera anche ultima volta, prendiamo quindi un autobus che ci conduce nello splendido paesino di Portomarín.
So, grazie al racconto di altri pellegrini, che, nonostante la presenza di tratti fangosi (peraltro tipici della maggior parte delle tratte in territorio galiziano) e di alcuni sali-scendi, la tratta non dovrebbe essere particolarmente complessa. Proprio per questo motivo, una volta approdati a Portomarín al termine dell’escursione, vi consiglio di resistere e dedicare un poco di forze alla visita di questo splendido centro abitato. Si tratta di un paese non troppo piccolo e decisamente più moderno rispetto ad altri incontrati lungo il Cammino, ma, come nel caso di VillaFranca del Bierzo, la cura del paesaggio e della sue costruzioni ci ha particolarmente colpito.
Inoltre, si tratta di un paese che si sviluppa proprio sopra il fiume Miño, seguendone il corso d’acqua, ragion per cui molti dei suoi affacci vi regaleranno degli scorci mozzafiato.
Tappa no10: Portomarín – Palas de Rei, 25.0 km
Eccoci arrivati al tanto ambito giorno. No, né per la particolare bellezza della tappa (anzi se proprio mi dovessi esprimere, direi il contrario), né per la sua vicinanza alla meta finale. A rendere memorabile e decisamente fuori dal comune il nostro decimo giorno di viaggio è stato un avvenimento del tutto inaspettato ed imprevedibile. Avrete sicuramente già capito di cosa sto parlando… Sì, proprio lui, il Blackout Nazionale che ha immobilizzato Spagna, Portogallo e Sud della Francia.
Di questa tappa, data la particolarità di questo avvenimento, e d’altro canto l’assoluta monotonia che invece avrebbe caratterizzato normalmente questo tratto del percorso, mi limiterò a raccontarvi come hanno vissuto i pellegrini, o almeno io e le persone a me in quel momento vicine, l’assenza di elettricità e di telecomunicazioni.
Innanzitutto dovete tenere a mente che al momento dell’inizio del blackout (all’incirca verso mezzogiorno) noi ci trovavamo già Palas de Rei, che definirei, personalmente, come un buco di paese sperduto nel Nord della Spagna. Fatta questa premessa, potete facilmente capire che noi il blackout, purtroppo o per fortuna, lo abbiamo vissuto in maniera decisamente diversa rispetto alle persone che in quel momento si trovavano nelle grandi città della Spagna.
Dico purtroppo o per fortuna perché il fatto di essere così isolati ha avuto i suoi lati positivi e negativi. Da una parte, infatti, inevitabilmente la portata delle conseguenze è stata decisamente ridotta, direttamente proporzionata alla piccola dimensione del paese e al minore numero di persone coinvolte (di cui, tra l’altro, il 90% erano pellegrini). Dall’altra, però, se è vero che in città come Madrid, Barcellona e Siviglia si è generato il caos ed un totale blocco di tutto, è altrettanto vero che lì il blackout è durato solo per poche ore, mentre da noi l’elettricità e la possibilità di utilizzare qualsiasi mezzo di comunicazione hanno fatto il loro ritorno circa 24 ore dopo il blocco.
Ora, parlando di cose pratiche, vorrete sicuramente sapere come è stato effettivamente stare per tutto questo tempo fuori dal mondo. Vi dirò, il clima generale era abbastanza rilassato, anzi la maggior parte di noi se la stava proprio godendo: non avendo altre possibilità, l’unica cosa che potevi fare era rilassarti e goderti il ritorno ad un periodo precedente all’invenzione degli smartphone, apprezzando realmente la compagnia delle persone con te.
Dovete anche considerare che questo stato di tranquillità era molto probabilmente legato al fatto che noi eravamo fuori dal mondo in tutti i sensi, per cui non eravamo minimamente consapevoli di quello che stava succedendo attorno a noi, né delle supposizioni che si stavano facendo a proposito (attacco hacker, tempesta, ecc. ecc.). Per farvi un esempio, noi abbiamo saputo che il blackout non riguardava esclusivamente il nostro singolo paesino solo verso la tarda serata, quando ormai la giornata si era conclusa e si sperava che massimo in nottata la situazione sarebbe stata risolta (cosa che in realtà è avvenuta circa 12 ore dopo).
Certo, non vi nego che la situazione ha creato anche degli spiacevoli inconvenienti. Innanzitutto, durante tutto l’arco della giornata, non vi era alcun bar o ristorante che poteva fornirti da mangiare, poiché in assenza di elettricità non potevano mettere in funzione cucine o frigoriferi. Da questo si è conseguentemente generata una generale corsa all’unico supermercato presente nell’arco di chilometri, fuori dal quale si è creata nel giro di poche ore una fila chilometrica con persone accampate che aspettavano il loro turno (avete avuto anche voi un leggero déjà vu?).
Noi, pur di evitarci un ritorno ai tempi del Covid-19, abbiamo optato per l’unica altra opzione rimasta, ovvero girare all’impazzata alla ricerca di un singolo ristorante disposto a darci qualcosa da mangiare per cena (a metà pomeriggio… praticamente l’ospedale ci faceva un baffo). Alla fine, dopo aver calpestato alcuni chilometri, abbiamo scovato l’unico ristorante nell’arco di chilometri che possedeva un fornello a gas e che doveva consumare le scorte che aveva nel frigorifero. Per cui siamo riusciti ad accaparrarci l’ultima porzione di zuppa di verdure e di petto di pollo; insomma, la cena dei campioni.
Inoltre, ovviamente, nessuno accettava pagamenti tramite POS, per il semplice motivo che il POS non funzionava. Di conseguenza, sia negli alberghi sia nelle altre poche attività commerciali rimaste aperte potevi pagare esclusivamente in contanti. Il che sembra banale, ma in realtà, se ti coglie alla sprovvista, è una situazione alquanto scomoda. Pensate che abbiamo visto diverse persone chiaramente abbienti, che alloggiavano nel migliore albergo della zona e che avevano un’attrezzatura sportiva da centinaia di euro, dover “mendicare” (prendete il termine con le pinze) per potersi comprare qualcosa da mangiare.
Fortunatamente si è trattata di una parentesi molto breve di questo viaggio, poiché verso l’ora di pranzo del giorno successivo tutto è tornato alla normalità, ma sicuramente è stato un momento particolare di cui difficilmente ci dimenticheremo.
Tappa no11: Palas de Rei – Arzúa, 28.8 km
Come ho anticipato, la prima parte di questa tappa è stata affrontata ancora senza elettricità, ma ciò non ha rappresentato un particolare ostacolo, poiché grazie alla cura della segnaletica presente sul territorio, non abbiamo mai avuto bisogno di consultare mappe o guide presenti sul cellulare.
Dovendovi descrivere la tappa, ad essere totalmente onesta, devo ammettere che questa, insieme a quella precedente e a quella successiva, compone quel tratto di Cammino che ho apprezzato meno. Nulla togliendo ai paesaggi e ai panorami che continuano ad essere suggestivi, trovandoci ancora nel cuore della Galizia, procedendo lungo il percorso ho la sensazione che la parte reale del pellegrinaggio sia già passata. Credo che questa sensazione sia legata a due motivi principali.
Il primo è che, sebbene questa sia decisamente più lunga delle altre, si tratta di tappe non particolarmente difficili e che quindi, dopo tutti gli sforzi compiuti, sembrano in realtà dei momenti di stallo inevitabili prima del grande arrivo a Santiago. Il secondo è il numero di pellegrini che aumenta mano a mano che si avvicina alla fine. In queste ultime tappe, infatti, il grande numero di persone che incontrerete lungo il vostro percorso non è affatto da sottovalutare. Innanzitutto rendono la vostra marcia inevitabilmente più lenta, dovendo stare dietro ai tempi di percorrenza di tanta altra gente, e poi, è innegabile, fanno perdere un po’ della magia percepita nelle tappe precedenti.
In ogni caso, state tranquilli, perché sul momento sarete troppo impegnati con la vostra adrenalina legata all’imminente arrivo, per preoccuparvi del fascino o meno di questi ultimi momenti.
Tappa no12: Arzúa – O Pedrouzo, 19.1 km
Manca un solo giorno al nostro arrivo a Santiago de Compostela ed è questo che ci fa svegliare all’alba carichi di euforia, ignorando i dolori e i segnali che il nostro corpo cerca di farci arrivare.
Il percorso di oggi è molto breve e anche molto semplice: quasi esclusivamente pianeggiante, attraversa diverse aree boschive di pini, castagni ed eucalipti, rendendo la passeggiata piacevole anche nelle giornate più calde, poiché prevalentemente all’ombra.
I paesini incontrati ormai sono veramente pochi ed anche abbastanza piccoli, giusto qualche casetta con dei punti ristoro; ma ormai le vostre gambe saranno talmente proiettate in avanti da sentire a malapena la necessità di fermarvi.
Dopo circa cinque ore e mezza di cammino, arriviamo a O Pedrouzo, l’ultimo nostro centro abitato prima di Santiago. Si tratta pressoché di un luogo di transito, dove le persone si fermano esclusivamente per spezzare la strada altrimenti troppo lunga e faticosa.
Tappa no13: O Pedrouzo – Santiago de Compostela, 20.0 km
Ormai siamo agli sgoccioli, meno di 20 chilometri ci separano dalla nostra meta. Inutile dirvi quanto questa tappa sia speciale e diversa dalle altre. Nonostante il paesaggio sia simile e addirittura meno stupefacente di molte altre tratte, voi sarete talmente tanto immersi nei vostri pensieri da quasi non accorgervi di quello che vi circonda.
Se siete come me, infatti, durante questi ultimi chilometri vi ritroverete a ragionare circa il vostro Cammino nel suo complesso, con i suoi alti e bassi, e su quanti ostacoli avete dovuto superare per essere lì in quel momento. A costo di sembrarvi sentimentale, oserei definire quest’ultima tappa una sorta di fase di rinascita: camminare questi ultimi momenti consapevoli di tutto quello che avete affrontato, vi farà sentire delle persone nuove, non solo rispetto ai voi che eravate prima della partenza, ma anche rispetto a quello che eravate due giorni fa.
Non si tratta per me di una rinascita religiosa o spirituale, che sicuramente può anche intercorrere, ma di qualcosa più viscerale, che riguarda voi e soltanto voi. Non riguarda la connessione con la natura, con il divino o con gli altri, ma la consapevolezza che avrete di voi stessi e della vostra reale forza (da intendere come meglio preferite, se fisica o d’animo).
Ecco, non vi saprei descrivere il paesaggio o la difficoltà del tratto, ma queste sono state le sensazioni che mi hanno accompagnato sino all’arrivo nella città di Santiago. Da quel momento in poi, una volta entrati nella zona urbana e avvistata la mastodontica Cattedrale, il mio unico pensiero era quello di arrivare nella piazza e festeggiare insieme al mio ragazzo per il traguardo raggiunto.
Affrontiamo, quindi, gli ultimissimi chilometri che dall’ingresso della città ci conducono nel cuore del suo centro storico, più nello specifico nella piazza centrale dove si erge imponente la Cattedrale, luogo che, inconsapevolmente, rappresenta la calamita per tutti i pellegrini che in quel momento si ritrovano lì davanti. È proprio la Cattedrale di Santiago, infatti, a sancire la conclusione di qualsiasi rotta del Cammino, che sia la Francese, la Portoghese, l’Inglese o la Spagnola.
Una volta raggiunta la fine, le reazioni a cui assisterete saranno infinitamente variegate: ci sarà chi piangerà, chi non riuscirà a smettere di ridere e chi rimarrà imbambolato senza sapere cosa dire o fare. Se mi chiedeste di inserirmi in una di queste categorie, non saprei cosa rispondere.
Dopo essere arrivati lì davanti, la mia prima reazione è stata quella di ridere e gioire coma una bambina, saltando e abbracciandoci, ma poi subito dopo sono rimasta come imbambolata, colta da un senso di spaesamento. A quel punto, la domanda è stata inevitabile: e ora? Che si fa?
Siamo giunti alla fine di questo viaggio che, grazie a voi, ho potuto vivere una seconda volta, ma prima di ringraziarvi permettetemi di darvi un ultimissimo consiglio: se mai decideste di affrontare il Cammino di Santiago, siate elastici. Questo pellegrinaggio non sarà mai come ve lo aspettavate o come lo avevate programmato, perché lungo il percorso succederà sempre qualcosa che cambierà i vostri piani (un incontro inaspettato, un infortunio o chi sa forse anche un blackout), ma ciò che renderà veramente memorabile quest’esperienza non saranno i giorni impiegati o i chilometri effettivamente percorsi: saranno i rumori che vi porterete dentro, i colori che vi ricorderete una volta chiusi gli occhi, le persone con cui avete condiviso la vostra storia e soprattutto l’evoluzione dei sentimenti provati nell’arco delle varie tappe.
Vi auguro un viaggio imperfetto come il mio, che non sia da copertina di una guida turistica, ma che sia umanamente vostro.
Grazie di avermi letto e sopportato fino a qui, ora è come se foste partiti insieme a me (e spero che presto potremo partire ancora per una nuova esperienza).
A prestissimo con una nuova avventura!
P.S. Nel caso in cui non ne abbiate avuto ancora abbastanza di questo Cammino, a breve uscirà una piccola guida di consigli pratici da tenere a mente prima di organizzare il vostro personale Cammino di Santiago de Compostela (vi torneranno utili, fidatevi di me…).
Alessia Corlito