
Negli ultimi anni, numerosi studi scientifici hanno approfondito il legame tra le abitudini del sonno e il benessere psicofisico, evidenziando come fattori quali l’età, lo stile di vita e le esigenze individuali influenzino profondamente i meccanismi del ritmo circadiano, il “metronomo” biologico che regola il ciclo sonno-veglia.
Secondo le più recenti raccomandazioni della comunità scientifica, gli adulti dovrebbero dormire in media dalle sette alle otto ore per notte, mentre per bambini e adolescenti il fabbisogno di riposo è sensibilmente superiore. L’intervallo di tempo ritenuto più favorevole per coricarsi si colloca tra le 21:00 e le 23:00: addormentarsi in questa fascia oraria favorisce un risveglio più naturale e una migliore sincronizzazione con i ritmi fisiologici, contribuendo così a migliorare attenzione, umore e performance quotidiana.
Ritardare l’orario del sonno, invece, può comportare effetti negativi tangibili. Il disallineamento dell’orologio biologico può infatti causare disturbi del sonno come l’insonnia, ridurre la durata delle fasi profonde e REM — essenziali per il recupero del corpo e della mente — e compromettere la qualità generale del riposo. Le conseguenze non si limitano alla stanchezza cronica: vi è un aumento documentato del rischio di patologie croniche come obesità, diabete di tipo 2, malattie cardiovascolari e disturbi dell’umore, inclusa la depressione.
In sintesi, rispettare i tempi naturali del sonno non è solo questione di abitudine: è una scelta che incide profondamente sulla salute a lungo termine.
Federica Romeo
