Una decisione storica presa durante la sua precedente amministrazione dal Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, è tornata al centro dell’attenzione diplomatica. A suo tempo, l’allora Presidente impose una drastica sospensione di tutti i contatti diplomatici con il regime venezuelano di Nicolás Maduro.
La mossa, che all’epoca vanificò gli sforzi per esplorare possibili accordi bilaterali e pose fine alle iniziative negoziali avviate dall’inviato speciale Richard Grenell, segnò un netto inasprimento della politica estera statunitense nei confronti del Venezuela, abbandonando l’approccio dialogante tentato fino a quel momento.
La rottura diplomatica fu accompagnata, e lo è tutt’oggi, da una significativa presenza militare statunitense nell’area caraibica. La regione è presidiata da una flotta che include navi da guerra e un sottomarino a propulsione nucleare, affiancati da migliaia di soldati.
Questa massiccia mobilitazione, ufficialmente volta alla repressione del narcotraffico nell’emisfero occidentale, è da sempre interpretata da Caracas come un atto di pressione diretta e una minaccia alla propria sovranità, in un contesto già aggravato da sanzioni economiche.