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Tripofobia: la fobia più cercata del 2025. Quando i buchi fanno paura

Fenomeno che riflette l’evoluzione delle paure contemporanee

by il MetropolitanoRedazione ilMetropolitano
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La tripofobia è una reazione di forte disagio, ansia o repulsione provocata da immagini o oggetti con pattern di piccoli fori ravvicinati. Semi di loto, alveari, spugne naturali, persino alcune texture digitali possono scatenare sintomi intensi come nausea, tachicardia, sudorazione e vertigini.

Pur non essendo riconosciuta ufficialmente dal DSM-5, la tripofobia è oggi la fobia più cercata su Google in Italia, secondo uno studio di “Unobravo”. Un fenomeno che riflette l’evoluzione delle paure contemporanee, spesso amplificate dalla cultura digitale.

Le basi scientifiche: il cervello davanti ai pattern

Studi pubblicati su Psychological Science mostrano che la tripofobia attiva aree cerebrali legate alla vigilanza e alla risposta di minaccia, simili a quelle coinvolte nella paura di animali velenosi. Secondo i ricercatori, potrebbe trattarsi di un meccanismo evolutivo di difesa, che ci porta a evitare potenziali segnali di malattia o pericolo.

Il cervello interpreta questi pattern come visivamente disturbanti, generando una risposta neurovegetativa anche in soggetti senza una storia di fobie.

 

L’effetto virale: quando la rete amplifica la paura

La tripofobia è esplosa online, dove contenuti virali e immagini provocatorie hanno amplificato la consapevolezza e la diffusione del disturbo. Molti utenti riferiscono di aver sviluppato sintomi solo dopo aver scoperto il termine, suggerendo un possibile effetto nocebo mediato dalla suggestione.

Nel 2025, la parola “tripofobia” ha superato in ricerche termini come “claustrofobia” e “aracnofobia”, diventando un vero e proprio fenomeno culturale.

La tripofobia è il simbolo di un’epoca in cui percezione visiva, biologia evolutiva e cultura digitale si intrecciano nel generare nuove forme di disagio. Non è una semplice “paura dei buchi”, ma una risposta complessa che merita attenzione, studio e rispetto. Chi ne soffre non va banalizzato. La paura, anche quando non è codificata, è reale. E come ogni forma di sofferenza, merita ascolto.

 

LL

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